martedì 28 luglio 2009

Ancora Atei

Martedì mattina. Almeno credo, perchè in vacanza non so mai che giorno è.
Discussione a colazione tra me e M.
Oggetto: gli autobus atei.
Arriviamo a questa diatriba moderata in seguito alla lettura da parte mia di una pagina dell'ultimo numero di Internazionale in cui l'associazione atei e agnostici razionalisti rivendica nuovamente il loro diritto, negato, di far circolare sugli autobus di Genova la scritta "La cattiva notizia è che Dio non esiste; quella buona è che non ne hai bisogno". La suddetta Associazione, nell'articolo-pubblicità, sostiene che la Chiesa fa troppe ingerenze nella vita cvile e politica degli italiani e rivendica un diritto che le è stato prima concesso e poi negato.

Seduta sul divano arancione, sottopongo a M. la questione, sostenendo per la maggior parte le argomentazioni di questi qui.
Inaspettatamente, la sua sentenza è "non vedo che bisogno c'era di fare una pubblicità del genere e di offendere la sensibilità della gente". Lui, benchè sia ateo(io sono più agnostica ed ho probabilmente un maggiore senso mistico di lui) e non abbia problemi con l'omosessualità o le diversità, non capisce gli eccessi, le uscite esagerate, le rivendicazioni, le manifestazioni come il gay pride. Forse è perchè appartiene a una categoria privilegiata: è uomo, è eterosessuale, ha un lavoro, non abita nel terzo mondo e non pratica strani stili di vita socialmente deprecabili; non ha mai dovuto lottare per far accettare ad altri com'è fatto o come la pensa.
Mi infervoro, argomento, mi inalbero, ma non ottengo soddisfazione: è già tardi e lui esce per andare a lavorare. Devo avergli rovinato la pausa caffé. Io non li capisco, questi bevitori di caffé.

La questione, di cui tra l'altro avevo già precedentemente parlato nel blog, a mio avviso, è questa: anche io, in linea di massima, posso pensare che non c'è motivo di pubblicizzare un modo di pensare. Ma non è questo il punto. La questione in ballo non è se si condivida o meno l'idea degli atei o la loro intenzione di farsi pubblicità. Quella di spostare l'attenzione sulla bontà delle intenzioni è una pratica molto contemporanea. Assisto a cose del genere ogni giorno, con i bambini.
Il discorso, molto più importante, è quello della libertà di espressione. Se ogni cittadino o società ha diritto, soldi permettendo, di comprare uno spazio pubblicitario, anche questi ne hanno diritto. Non importa cosa o perchè pubblicizzino, se non urtano la pubblica sensibilità o offendono i costumi. E non è andata esattamente così. Alzi la mano chi si sente offeso dagli atei che dicono che Dio non esiste. Ecco che scatta l'ingerenza dela Chiesa.

Io, sinceramente, mi sento più offesa da certe immagini che mostrano la donna in modo degradante, da quelle che mostrano i successi del pdl., che cercano di vendere rumorosi, inquinanti e brutti autoveicoli.
Quella degli atei, per quanto la possa trovare un po' inutile, non mi offende, mi fa più che altro sorridere.

Ultime notizie

Buongiorno e benvenuti all'edizione straordinaria del nostro giornale.
Pare che Michael Jackson, quando è stato prelevato dall'ambulanza dopo aver avuto l'infarto che l'ha ucciso, non avesse il naso.
Gli innumerevoli interventi di chirurgia "estetica" gli avrebbero distrutto l'osso e la cartilagine.
Anzi, in un armadietto pare che tenesse varie protesi da mettersi per uscire.

Grazie e arrivederci.
Consigli per gli acquisti.

mercoledì 15 luglio 2009

Il trucco

Ho qualche problema con la femminilità, credo.
Insomma, a 34 anni (ancora per pochi mesi) non mi trucco, non uso le scarpe coi tacchi, non amo nemmeno le decolleté.
No, non sono il tipico maschiaccio che porta scarpe da ginnastica e felpe e i capelli sempre corti o legati in una coda di cavallo. Non mi pare di essere nemmeno particolarmente sciatta, se escludiamo il risveglio e qualche momento di lassismo domestico.
Non sono neanche una rigida, algida signora
con tailleurs e crocchia, magari con scarpe severamente ortopediche. No.
Il fatto è che fin da bambina detestavo gli stereotipi legati all'età. In risposta a mia madre che mi diceva di dar via un po' di giochi ho deciso, un giorno, che avrei giocato con le bambole fino a novant'anni. Dove stava scritto che solo i bambini possono giocare? Perchè, una volta adulti, ci si doveva privare di questo piacere?
Allo stesso modo, credo, mi sono detta per anni che non era scritto da nessuna parte che una ragazza, una volta diventata donna, dovesse iniziare a portare tacchi, trucco e collant. Non mi piacevano nemmeno da bambina. Non sono mai passata attraverso la fase del rosa, quella vezzosa, da cui passano ormai quasi tutte le bambine, soprattutto grazie ai modelli odierni. E, diventata donna - almeno, ora credo di esserlo - ho continuato a seguire i miei gusti.
Ho attraversato varie fasi, come tutti; ho cambiato gusti, ma non ho mai trovato che tacchi e rossetto mi avrebbero aiutato ad esprimere la mia interiorità e nemmeno la mia presunta femminilità.
Mi piacciono le collane: quelle lunghe, corte, colorate, a pallini, etniche, di legno. Mi piacciono le calze a righe, colorate, le scarpe rotonde, le sciarpe, i cappotti, i sandali, gli elastici, le mollette; i maglioni a collo alto, le spille di lana e feltro, i berretti. Uso pressochè tutte le borse a tracolla e detesto la sensazione che danno le collant.
Non sembro un pagliaccio, solo me stessa, e non sono così integralista da non usare profumi: mi piacciono gli agrumi, la mandorla, la rosa, i fiori d'arancio.

Non ho smesso di giocare, anche se i miei giochi sono un po' diversi da quelli di una volta: allora non sapevo che anche gli adulti si divertono, a modo loro. O
gni tanto, però, ritaglio vestiti per bambole di carta con cui forse non giocherò mai. Faccio un lavoro, d'altronde, che mi permette di giocare spesso, e con gli esperti del mestiere.


L'altra mattina, al mare, la mia migliore amica mi ha chiesto: perchè non ti compri un bel lucidalabbra, ora che sei abbronzata, e magari un rimmel verde come gli occhi? Il rimmel ce l'ho - anche se non lo metto quasi mai - , ma l'idea di un lucidalabbra, magari chiaro e luccicoso, non mi è dispiaciuta e ha cominciato a farsi strada nella mia testa.
Così l'ho preso.
Ho solo bisogno dei miei tempi e dei miei modi, tutto qui.
Il lucidalabbra me lo metto, adesso.

Quando mi ricordo, s'intende.

Trite e ritrite

Non avevo intenzione di parlarne, ma tant'è lo faccio.
Non mi ha colpito più di tanto la morte di Michael Jackson, non ero una sua fan e non avevo commenti particolari da fare quando l'ho saputo.
Solo che ieri, mentre mangiavo la pizza a mezzanotte e mezza dopo essere stata a sentire un concerto di M. (che non sta per Michael, anche se il nome ci si avvicina parecchio) con l'immancabile tv accesa, sono incappata in Italia uno. Ebbene sì. Davano una specie di documentario sul cantante, realizzato credo pochi anni fa. L'ho guardato tra uno sbadiglio e un pezzo di mozzarella e piano piano la cosa mi ha catturato:
quell'uomo era completamente folle, mitomane, psicologicamente instabile.
Con tutta la compassione che posso provare nei confronti di uno che è stato malmenato da piccolo, umiliato o quant'altro, non posso però comprendere come possa diventare un mito qualcuno che nega di essersi fatto interventi al viso davanti all'evidente realtà, tiene sospeso il figlio fuori dalla finestra e lo porta via alla madre appena lo ha partorito perchè "se lo voleva portare a casa" e in più lo fa assalire dai fans mentre va in brodo di giuggiole sentendoli inneggiare "michael, michael". E' chiaro che siamo di fronte a un caso umano degno sì di compassione ma non certo divinizzabile.

Lo so, lo so, non c'è da stupirsi e così va il mondo e blablabla.
Sarebbe il caso di stupirsi ogni tanto, però. E' grazie all'apatia se le cose funzionano male.
Sarebbe il caso, sempre ogni tanto, di considerare gli esseri umani come un tutt'uno che comprende quello che dicono e quello che fanno, che è nient'altro che quello che sono.
Ma ormai
non sto più pensando a Michael Jackson; sono andata - anche se solo spiritualmente- fuori tema, come al solito.

lunedì 13 luglio 2009

A volte ritorna (o no?)


E va bene, sono di nuovo stata assente per un po'.
Tanto, veramente, quasi due mesi. Mi capita quando sono assorbita dalla vita reale, quando voglio prendere un po' le distanze dal pc o quando non ho niente da dire. Oppure ho così tanto che non saprei da che parte cominciare.
Questa volta per un po' ha dominato il primo motivo, poi il secondo e, a tratti, il terzo. Ma devo ammettere che in genere non è che non ho avuto niente da dire, è che me lo volevo tenere per me.
Per un secondo mi ha sfiorato l'idea di mollare il blog; è come mi succede con la macchina: sono un disastro a curarmene, non mi piace dedicarmici, portarla a lavare (nonostante abiti a 10 metri dal mare, quindi la poltiglia di salsedine+cacca di gabbiano è corrosiva)
o a gonfiare le gomme e così tendo a lasciarla alla deriva, perchè ogni giorno l'incombenza si fa sempre più impegnativa. Fortunatamente il blog non è la macchina e, soprattutto, mi riserva più piaceri che incombenze.

Vediamo...da dove riprendere? Dalla fine della scuola e l'addio ai miei alunni dopo cinque lunghi anni o dalla casa dei sogni che io e M. abbiamo trovato(e forse non compreremo)? Dall'opera colossale di tinteggiatura alle pareti della mia vecchia aula? Dalle corse tra banche e agenzie immobiliari (Dio, se c'è, ce ne liberi per sempre) o dal mio solito schifo nei confronti dell'italia populista-schiava della tv? Non so, credo che possa bastare anche così.
Almeno è un aggancio per un prossimo post.

Una lavata al tergicristalli, diciamo.