sabato 29 agosto 2009

Incontri sotto la lanterna


Ieri sera ho incontrato, a un concerto di M. nella mia città natale, Genova (quella in cui lavoro ancora) una mia ex alunna, S., che oggi ha 14 anni, esattamente venti meno di me.
E' stato davvero emozionante rivederla. Credo lo sia stato per entrambe.
Per quanto nel mestiere di insegnante ci si imbatta in parecchie situazioni problematiche, qualche volta capita che si creino rapporti speciali, affinità elettive e affettive capaci di durare a lungo nel tempo e nella memoria. Questi rapporti sono, da soli, capaci di colmare e superare qualsiasi altra condizione difficile e frustrante, racchiudono in sè il senso di fare questo mestiere, lo riempiono di significato e, in quanto veri, intensi ed autentici rapporti umani, superano il mestiere stesso, sono un valore aggiunto.

Rutelli dixit


"Il partito democratico è democratico"

(dal tg3 Liguria)

venerdì 28 agosto 2009

Verso levante


Finalmente lo dico. E penso sia solo il primo di una serie di post a tema.

Me ne vado. Per essere precisi, ce ne andiamo.
In autunno, dopo tre anni e mezzo di permanenza a Savona, io e M. ci sposteremo verso levante. Non di molto, ma quel tanto da non considerarci più savonesi.
Io, in realtà, non lo sono mai stata, nonostante la residenza. Ho sempre sbandierato il mio essere genovese e devo dire che Savona non l'ho mai amata veramente. E' stata una scelta obbligata dalla situazione contingente, un compromesso. Ho continuato a lavorare a Genova (e così sarà ancora, anche se non tornerò a viverci), ho sempre la mia famiglia, le mie amiche là. Mi ci sono sentita un pesce fuor d'acqua. Troppo stretta per essere una città e troppo grande per essere un paese.
Tuttavia non è una fuga, questa, ma una scelta di vita, un sogno che si avvera. Andiamo a vivere in campagna.

In fondo non è poi così male, Savona. Mi ci è voluto moltissimo per ambientarmi, ma devo dire che quando sarò andata via alcune piccole cose, vecchie abitudini e recenti scoperte un po' mi mancheranno.
Il cinema e la gelateria sotto casa, ad esempio. I nostri amici pizzaioli, preziosi nelle sere in cui entrambi si tornava tardi dal lavoro. Il mare a dieci metri dalla finestra.
Il suono della sirena del ponte, ogni volta che si alza per far passare le barche. Credo che lo sentirò ancora per parecchio nella mia testa.
La latteria che fa solo frappé. La libreria qui sotto. Il negozio delle spezie. Il bar della piazza nel centro storico.
Da novembre, o anche prima, non ci saranno negozi sotto casa e il suono della sirena del ponte e dei gabbiani sarà sostituito dallo scorrere del fiume, dal suono del vento tra le foglie e dalla campana del paese.
Ci vuole molto, in una città nuova, perchè si attui quella condizione in cui camminando per la strada ci si sente a casa, si incontrano persone che ti conoscono e ti salutano, ci si danno appuntamenti, ci si ferma a parlare.

Ora si dovrà ricominciare da capo, e per un'abitudinaria come me non sarà facile, ma è pur sempre un'avventura. In cui saremo, un'altra volta, in due.

sabato 15 agosto 2009

Questione d'inconscio


Sta capitando anche a me.
Non ho mai avuto sviste particolarmente folli, se non mettere il telecomando in frigorifero. Sono cose che succedono quando compi un'azione senza pensare a quello che stai facendo, oppure mentre sei concentrato su qualcos'altro, che poi è lo stesso.
Ultimamente la mia psiche sta divagando parecchio, però: per due giorni di fila ho lasciato le chiavi di casa nella toppa della porta d'entrata; la seconda volta ci sono rimaste per più di mezza giornata, fino a notte inoltrata, quando M. è tornato da un concerto. Ogni volta, comunque, se n'è sempre accorto lui: per me avrebbero potuto rimanerci per giorni e giorni, escludendo la necessità di uscire di casa.

Negli atti mancati, nelle dimenticanze c'è sicuramente un significato, spesso se sono ricorrenti: non ne so molto, ma per vedere la cosa alla freudiana direi che ci sta di mezzo il desiderio.
Sì, però desiderio di cosa? Di essere derubata? Di dover far rifare una serratura? Di trovarmi con uno sconosciuto in casa e morire d'infarto?


M., poi, è un esperto in queste cose, tanto da rasentare il paradossale. In cinque, sei anni di carriera intensa da musicista ha perso su palchi, alberghi e camerini una quantità industriale di oggetti, e per la maggior parte o erano i suoi prefereiti, o avevano un valore affettivo o quantomeno economico. Giubbotti, pantaloni, flaconi di shampoo, dentifrici, cinture, un navigatore, forse un microfono e chi più ne ha più ne metta. Lo stress della tournée gioca un ruolo consistente, ma la cosa inizia a pesare, specialmente quando le cose che perde non sono di sua proprietà.
Cosa dovrei pensare, in questo caso? che vuole restare? Che vuol essere punito? Che sta cercando di disfarsi degli oggetti che rappresentano l'azione di viaggiare e che non ne vuole più sapere di questa vita?
Domande inutili, per l'appunto.
L'inconscio è un mistero, e se agisce spudoratamente nella veglia è un mistero ancora più difficile da chiarire.


Nei miei sogni notturni, ultimamente, ho un comportamento poco "da inconscio" e molto da super io. Stanotte ho sognato che un uomo piuttosto appetibile mi proponeva un incontro erotico, e io gli rispondevo che sono innamorata e non ci pensavo neanche, così l'ho respinto.
Che la mia psiche abbia confuso il sonno con la veglia?

Meglio dormirci su.

venerdì 14 agosto 2009

Lacrime e fiumi egizi


Quando si nasce si piange. Si sa già piangere, insomma, mentre per imparare a ridere ci vuole del tempo. Lungi da me il pensiero di fare della filosofia amara; in fondo è una chiara espressione dell'evoluzione, necessaria alla sopravvivenza: è molto più importante, urgente saper comunicare disagio e bisogni piuttosto che gradimento e piacere.
Nessun rancore nei confronti dell'esistenza, dunque, almeno per il momento.

Per me piangere è stata una riconquista, in età adulta. Penso di essere stata una neonata come le altre ma, non so perchè, già da bambina ho cominciato a disimparare a farlo. Non ricordo di aver mai pianto - pubblicamente, intendo - all'asilo e nemmeno alle elementari; non piangevo al cinema anche se alla fine dei film smielati le mie amiche erano una maschera di umidità paonazza; non sono riuscita a piangere nemmeno alla morte dei miei nonni. Non si sa per quale motivo, la lacrima pubblica mi impauriva tremendamente, avevo il blocco.
Eppure a casa piangevo, come tutti: davanti ai film, per le sgridate dei genitori, per delusioni amorose. Ma lo facevo in privato. Al massimo potevo piangere davanti ai miei se la causa erano loro, ma la mia espressione di intimità finiva qui.

Poi c'è stato lo sblocco. Quando il fidanzato storico mi ha lasciato mi sono lasciata andare in mezzo alla strada, con la mia migliore amica, e al funerale della mia bisnonna un'espressione di commozione sulla faccia di mio cugino, normalmente duro e algido, mi ha fatto esplodere. Peccato che il funerale fosse già finito da un pezzo; ce ne stavamo sulle scale della chiesa a scambiare battute simpatiche con parenti che non vedevamo da anni e io ho fatto la mia performance fuori luogo. Forse è stata la realizzazione del fatto che il dolore è normale, che capita, e che è normale esprimerlo a farmi uscir fuori dalla bolla di inespressività, non so; indagare sul perchè avessi difficoltà a farlo mi farebbe addentrare nei vortici della psicanalisi, ma non è questo che mi preme, ora.

Insomma, adesso so piangere. So ridere e so piangere, ed entrambe le cose le so fare sia da sola che in compagnia. Ma non è finita, la scoperta.
In età adulta (quella in cui credo di essere, almeno) ho scoperto nuove forme di pianto e di riso. Ridere per sdrammatizzare, per sorprendere, tranquillizzare è una delle cose che mi riescono meglio a scuola, coi bambini.

Ma la vera novità ha riguardato il pianto. Ho imparato a piangere per esprimere stanchezza, a piangere dal gran ridere, a piangere di commozione e a piangere per empatia. Piangere di felicità, poi, è stata la conquista migliore dei miei trent'anni.
Ho imparato, così, che la lacrima non scende solo per esprimere a livello istintivo bisogni e disagi fisici: forse è così all'inizio.
Poi, crescendo, diventa un mezzo per uscire da noi stessi, quando quello che sentiamo è troppo grande per essere contenuto.

In questi casi, il pianto è una benedizione: il Nilo che straripa per dar vita al limo.

mercoledì 12 agosto 2009

incontri ravvicinati con Fabio Fazio


L'altro giorno, mentre guidavo la macchina a Savona, ho visto Fabio Fazio davanti alla posta.
Stava attraversando la strada per andare verso il suo motorino, parcheggiato lì di fronte.
Tutti lo guardavano, si giravano da macchine e moto, i passanti si fermavano; per un attimo ho incrociato il suo sguardo e l'impressione che ho avuto è stata "toh, questo lo conosco". Un senso di appartenenza e familiarità, insomma.
Poi ho realizzato che lui non aveva alcuna familiarità con me e ho distolto lo sguardo. Per non dargli fastidio, farlo sentire invaso, violato.
Non dev'essere facile la vita di un personaggio che appare in televisione spesso. Ogni giorno la sua faccia, i suoi gesti, il suo modo di parlare entrano nelle case di tanta gente: belli e brutti, santi o criminali, intelligenti o deficienti. E lui continua ad esistere al di là di tutti, continua a sentirsi una persona normale che fa un lavoro un po' particolare, ma chi non fa lavori particolari? Torna a casa la sera, bacia sua moglie, fa la spesa, va al gabinetto, come tutti.
La differenza è che gli altri hanno carpito solo una parte del suo essere e alcuni di loro pensano di poter avere un qualche diritto su di lui, se non altro di conoscenza. Da persona normale diventa personaggio, in virtù della sua presenza nell'apparecchio domestico.
Certo, più un personaggio televisivo è autentico nel suo lavoro e più ci si può avvicinare all'idea di un qualche rapporto col pubblico, c'è meno discrepanza. Ma non credo sia così facile guardare un personaggio come persona, a tutto tondo.

Io e la mia maledetta empatia. Ho sentito l'impulso di difenderlo dalle aggressioni visive della gente, perchè ho letto un pizzico di imbarazzo nel suo sguardo.
Ma forse stavo già accampando i miei presunti diritti di telespettatrice.