domenica 29 maggio 2011

Maestre


Da quando, anni fa, qualcuno mi ha fatto notare che il termine"maestro" è molto più profondo e totale di "insegnante", porto con orgoglio il nome del mio mestiere. Bisogna precisare però che c'è maestro e maestro (o, meglio, maestra, vista la carenza di uomini che si dedicano all'età scolare)...

C'è la maestra di una volta. Le scuole ne sono piene. Molte sono vicine alla pensione o ne hanno già superato l'età, chiedendo di andarci qualche anno più tardi. Piuttosto tettute, vestono in modo vario, perlopiù tra l'elegante e il discreto, usano spesso la gonna al ginocchio con le calze coprenti color carne e hanno la convinzione che ormai le cose siano allo sfascio. Sono molto autoritarie ma anche autorevoli: quando parlano loro, i bambini stanno tutti zitti e non si capisce come sia possibile. Hanno un'assoluta reticenza all'innovazione, al lavoro a gruppi ed alle tecnologie.

C'è la maestra innovativa/iperattiva. Generalmente di sinistra, prende sempre la parola ai collegi docenti, partecipa a tutte le assemblee sindacali e, se fa sciopero, va in manifestazione ed è in prima fila con lo striscione fatto dai bambini. Parla molto, forse troppo, la sua parola preferita è interagire. Ama i vestiti a strati, svolazzanti, e indossa grosse collane variopinte. Porta il più possibile i suoi alunni a spettacoli teatrali, mostre, laboratori, atelier e, sebbene preferisca lavorare in team, talvolta lo soffoca con la sua esuberanza. Sa tutto di cooperative learning, tic, clil e chi più ne ha più ne metta. Non bisogna stupirsi se, nel turbine di stimoli che vengono loro proposti, i suoi allievi non sappiano che cos'è un triangolo.

C'è poi la maestra depressa. Più che una categoria, è uno stato in cui qualche volta, a qualcuna, capita di piombare. Veste in modo dimesso e due giorni su tre ha i capelli sporchi. Ha una voce sottile e alterna momenti in cui strilla ad altri in cui si fa insultare dai bambini e piange fuori o dentro la classe. Firma le circolari senza leggerle e si mette spesso in malattia. Se la si incontra con gli occhi fuori dalle orbite è perchè è incappata in un problema serio con qualche genitore o il dirigente e non sa come cavarsela. Fa elmi tremendi a chi incontra e per questo molti la evitano. I suoi alunni saltano parti di programma mastodontiche e questo suscita l'ira di genitrici attente.

C'è la maestra scosciata. Come vesta, lo dice il suo appellativo: accompagna minigonne e perizomi in vista a bocconate di rossetto ciliegia e tacchi importabili ed ha i capelli lunghi e sciolti anche a cinquant'anni. Sembra amare molto i bambini ma in realtà ama essere amata. Si ferma spesso a parlare con i papà all'uscita di scuola e, quando va in bagno, porta con sè la trousse con spazzola e trucchi. Con lei si impara abbastanza, ma si diventa bambini-specchi in cui lei si rimira per cinque anni.

C'è la maestra che odia i bambini. Ce ne sono tante, tantissime negli istituti scolastici. Sempre incarognita all'interno della scuola, insospettabile fuori, tratta male tutti i suoi alunni disprezzandoli con epiteti offensivi e mandandoli continuamente fuori dalla porta. Non dà sorrisi nè amore e scarseggia di umanità. Non ha bambini e non ne vuole avere. Giovane o vecchia, vista per la strada non si direbbe essere così acida. Di fronte ad eventuali proteste dei genitori, il dirigente la copre suo malgrado. Il fatto è che qualche mamma ama il fatto che il proprio figlio abbia un'insegnante "dura".


C'è la maestra mammona. Piuttosto corpulenta, ha voce infantile e ama moltissimo i suoi alunni. Li abbraccia, li bacia, detta loro poesie su api e fiorellini e adora la morale delle favole. Ha spesso una vocina sottile che la fa scambiare per un eunuco. Non è un granchè quanto a metodo e scelta dei contenuti da insegnare e i suoi alunni spesso diventano cattivi da grandi per l'eccesso di miele. Di solito è un'ex-maestra della scuola dell'infanzia esportata alle elementari. Se incontra un caso davvero difficile, per esempio un bambino psicotico, si trasforma in maestra depressa.



Ovviamente queste categorie, nonostante abbia preso spunto da persone in carne ed ossa, non sono mai pure e ce ne sono di altre, più peculiari e sorprendenti. Ognuna di noi ha in mente un archetipo di maestra che vorrebbe essere. Nel mio c'è molto dell'iperattiva, un pizzico di mammona, un pochino di quella di una volta.
Da evitare come la peste - soprattutto per chi le incontra - quelle che hanno anche un solo pizzico di maestra che odia i bambini.

Per ricordare Luciano

La cosa migliore che possa fare, ora, è riportare uno dei suoi tanti vivi e intelligentissimi post, e portare dentro almeno qualcosa di suo, come una preziosa eredità:

La cosa più bella del mondo (di Luciano Comida)

Spesso, negli incontri con i ragazzi nelle scuole o nelle biblioteche, mi chiedono:
cosa ti piace più di tutto?
Allora racconto: è la cosa che sto facendo, nel momento in cui la faccio.
Quando leggo un romanzo che mi appassiona non c'è nulla di più bello,
ma quando bacio mia moglie non c'è niente di più meraviglioso
e quando gioco con il cane Charlie che risponde facendo le fusa nulla è più tenero, quando mangio una pesca croccante niente è più dolce,
quando sono sotto il palco a un concerto rock,
quando mia figlia mi abbraccia in pubblico,
quando mi raccontano qualcosa di me che avevo dimenticato,
quando sto scrivendo un libro,
quando faccio felice qualcuno,
quando cambio idea,
quando vedo un film che mi piace,
quando scopro un musicista nuovo,
quando nella libreria dell'usato trovo un libro cercato da anni,
quando conosco una persona interessante,
quando sono utile a qualcuno,
quando di sera sto serenamente con mia moglie,
quando faccio meditazione,
quando ricevo una lettera,
quando mi raccontano qualcosa di divertente,
quando inizio a leggere un libro nuovo,
quando la mia squadra segna un gol,
quando il piatto che ho cucinato mi viene bene,
quando parto per un viaggio,
quando torno a casa,
quando mi fanno un regalo inaspettato,
quando una crisi emicranica mi passa,
quando...
...ognuno di questi "quando" è la cosa che mi piace di più al mondo.


Ciao, Luciano.

lunedì 16 maggio 2011

cose di Sicilia


Spiagge, deserte.
Mari di papaveri.
Cannoli, granite al pistacchio, cous cous e mandorle.
Strade di pietra scivolose.
Il vento.
Acqua cristallina.
Cani per le strade.
Limoni e fiori d'arancio.

sabato 7 maggio 2011

Svolte



La crisalide sulla porta di casa si è schiusa, forse ieri, forse stanotte. L'ho trovata ancora lì, ma disabitata.
Domani mi sposo con M.
Non ne avevamo intenzione in realtà, stavamo benissimo così, ma vogliamo adottare un bambino e per farlo bisogna essere sposati.
Così, nel giro di poco più di un mese, ci siamo - poco - preparati per farlo nel modo più silenzioso ed anticonvenzionale possibile: pochissime persone, anelli che non sembrano fedi, un non-vestito da matrimonio, rosso e grigio, niente addio al nubilato o celibato, niente fiori, nessuna lista nozze o fotografi, niente sposi o scritte sulla torta, ricevimento o ristorante(mangiamo qualcosa nel giardino dei suoceri). I capelli li ho tagliati io ad entrambi.
Domattina mi farò da sola un mazzo di rose e margherite prese dal giardino e poi le regalerò alla mia unica amica che non è sposata.
Subito dopo mangiato partiamo per una settimana in
Sicilia con un bagaglio a mano ridottissimo. Poi M. ha dei concerti e io la gita coi bambini e lo spettacolo da preparare.
Insomma, tutto normale, tranquillo, un po' in sordina. Un evento da assimilare al quotidiano.
Eppure, qualcosa comincia a fremere. Mentre M. prepara i bagagli, mi dice che comincia a venirgli l'ansia; mentre raccolgo le pratoline(che, noto, hanno un odore simile alla pipì, credo opterò per un fiore kitsch di plastica) e provo a fissarle in testa con delle forcine, comincio ad avere un vago pizzicore alla ghiandola pineale. O forse è il cervelletto.
Detesto essere al centro dell'attenzione, non l'avrei detto a nessuno, nemmeno ai miei, ma la notizia si è propagata come un'onda anomala.
Non so come sarà sposarsi, ma ho come il sentore che non mi sarà così indifferente come pensavo.