venerdì 28 ottobre 2011

Il tempo delle coccinelle


Come ogni anno, qui è arrivato il momento in cui le coccinelle migrano. In cui trovo sempre tra le pieghe dei panni stesi qualcuno di questi ospiti rossi, il muro a nord della casa si ricopre e se ne trovano qua e là anche per la casa.
Succede quando comincia a far freddo, ma il tempo concede ancora calde giornate di sole; come le cimici, cercano un riparo e tentano di infilarsi in casa. Qualcuno sopravvive fino a inverno inoltrato tra le mura domestiche, ma la maggior parte si volatilizzano, semplicemente.
Il tempo delle coccinelle dura poco, una settimana al massimo. E' il momento in cui si può avere fiducia nella fortuna e in cui si può credere nei miracoli.
E, inspiegabilmente, di solito funziona.

mercoledì 26 ottobre 2011

Al riparo


Quello che è successo nel levante ligure non può non toccarmi da vicino. Un po' è la solita storia per cui finchè la tragedia non ci viene a sfiorare non la vediamo nemmeno, ma in realtà in questo caso è il concretizzarsi di tutte le mie paure. Abitiamo vicino a un fiume, è una zona piovosa e umida e abbiamo diversi problemi di infiltrazione. Solo dopo essere venuti a stare qui abbiamo scoperto che, una quindicina di anni fa, il fiume è esondato e ha trascinato con sè le macchine parcheggiate lungo la strada, in alcuni casi portandole fino al mare, a cinque chilometri da qui e, in altri, sul terrazzo della trattoria in piazza. Capisco cosa voglia dire immaginare muri d'acqua per strada, onde dentro casa. Immagino solo cosa significhi perdere la casa, perdere la macchina, perdere cose, oggetti, ricordi. Restare senza niente, senza quello che contribuisce a darci un'identità, a dire chi siamo.

Non sapevo cosa volesse dire aver paura della forza smisurata della natura, da bambina; mi sentivo al riparo, nel mezzo del mio appartamento dove vivevo con i miei genitori, nel mezzo di un grande palazzo, nel mezzo di una grande città. Tuttavia ho scelto di vivere in campagna, perchè andare a vivere in un appartamento, da adulta, mi faceva sentire in prigione. Ora, ogni volta che piove a lungo, il mio sguardo va dritto al fiume. Da qualche parte sento che succederà di nuovo, e cerco di essere pronta. Certo, qualche volta vorrei davvero tornare a vivere in un appartamento. Quelle tende di muri e gente fanno sentire protetti, qualche volta.

Ma quando siamo veramente al sicuro? Una città è davvero sicura? Non arrivano anche lì i terremoti, le bombe, gli incidenti, i nubifragi? Non arrivano lì la sofferenza, la tristezza, la morte? Allora non c'è muro che tenga, anzi: se ce ne fossero meno forse sarebbe più lieve, il dolore. La verità è che abituarsi a vivere dentro le stagioni, invece di vederle nel fine settimana per una scampagnata, fa paura. Avere a che fare con la natura può dare sensazioni che vanno dall'ebbrezza al terror panico. Vivere in un piccolo borgo vicino a un fiume mi fa vivere con la consapevolezza che non siamo al sicuro del tutto, ma allo stesso tempo che, se la natura cercherà di annientarci, ci rimboccheremo le maniche, cercando l'identità che ora ci danno le cose e le case nello sguardo di amore e riconoscimento delle persone che ci sono vicine. Solo questo mi sento di dire alle persone alluvionate: finchè esistete, finchè accanto a voi c'è ancora chi c'era prima, niente vi potrà spezzare o togliervi la cosa più importante che avete sempre avuto: la vostra irripetibile identità.

martedì 25 ottobre 2011

Come non detto


Pioggia e pioggia, soffitto bagnato e fragore da Rio delle Amazzoni in camera da letto.
Voglio un appartamento, voglio essere lontana da un tetto, dall'acqua e dal vento.
Se non è possibile, voglio almeno scambiare la finestra di legno della camera con una super-ermetica-antirumore.

lunedì 24 ottobre 2011

Fine ottobre (senza "cose")


Finalmente eccomi di nuovo al computer. In forno una torta di riso e zucchini, la stufa accesa e, fuori, nuvole basse che annunciano un peggioramento. Mi sono goduta fino in fondo questo prolungamento d'estate e l'assenza di piogge, anche se ho sentito più voci che annunciano un autunno piovoso come quello in cui c'è stata l'alluvione del '70. Così sabato M. è salito sul tetto facendomi vedere i sorci verdi per la paura e, tra le mie direttive e urli, ha spalmato guaina liquida qua e là sulle tegole e sugli interstizi. Con questo, speriamo che la veranda e la dispensa sul terrazzo reggano a quattro mesi di acqua. Sono passata dai sandali alle calze di lana di botto e mi sento i piedi costretti nelle scarpe. La sera, da un paio di settimane, sul divano si sta di nuovo con la coperta di lana. Abbiamo retto fino all'altro ieri senza riscaldamento sperando che tornasse il caldo, ma quando il termometro dentro casa è arrivato a 16 gradi e mezzo abbiamo deciso di accendere. Perlomeno adesso siamo temprati.

Così è arrivato, questo autunno. Non ci tenevo granchè; il cielo grigio fa un po' di tristezza e mi mancano le giornate tiepide di sole, le api, le albicocche, le pesche, i gelati. Non mi piacciono i frutti d'autunno. Non mi rallegra il pensiero del rumore assordante della pioggia, i vestiti bagnati, i risvegli intirizziti, il ghiaccio sul parabrezza e nemmeno il rumore del fiume in piena, che dorme ormai da sette mesi. Tuttavia, come in tutte le cose, c'è un però. Sono le caldarroste, i colori nuovi delle foglie, le passeggiate con indosso poncho e maglioni, nuvole di vapore dalla bocca, sagre di paese, gite con gli amici, la Pippi sulla pancia a ronfare, i tè del pomeriggio e prima di dormire, per scaldarsi. E poi c'è M., che in questa stagione è più spesso a casa, e le mie sere sul divano arancione sono quasi sempre in compagnia dei suoi piedi e delle sue braccia, pronte a rendere più lieve le stagioni più buie.