mercoledì 2 ottobre 2024

 

Dopo diciott'anni di onorato servizio, domani il divano arancione, che ci ha accompagnato in due case e ha resistito a una figlia e due gatti(già, non ho ancora parlato del nostro gatto Totoro, anch'esso arancione), verrà portato via per fare spazio a un altro sofà.

La malinconia è tanta, mia figlia (che fatica a staccarsi da tutto: da piccola teneva anche le etichette dei vestiti) ha anche pianto.

Nella foto si vedono, da sinistra: figlia di dieci anni ma che ne dimostra tredici in versione polpo, madre con faccia finto-buona ma che sta per grattare il fondo del barile della pazienza (abbiamo fatto la foto perchè A. non smetteva di miagolare), marito in pigiama che lotta contro il malessere dei 37.2 di febbre.

Insomma, caro divano, ti abbiamo scelto insieme, io e M., anche se il letto, una volta aperto, era la cosa più scomoda del mondo. Su di te restano le unghiate della Pippi e poi di Toto, delle macchie di pennarello mai andate via e qualcosa che dev'essere stato vomito smacchiato male o cibo, tutti regali di nostra figlia da piccola. I tuoi cuscini sono un po' scuciti, hai un odore poco piacevole e sei parzialmente sfondato, ma ho fatto delle meravigliose dormite estive su di te, soprattutto quando ero incinta.

Da quando A. è diventata così lunga, ogni volta che ci mettiamo a guardare la tv in tre è una lotta all'ultimo sangue per il dominio degli spazi. Lei non accetta di mettersi dritta e ci troviamo i suoi piedi in faccia.

Sei ancora bello e accogliente e io la capisco, sai, capisco perchè non voglia lasciarti. Se è così ci sarà un motivo, e il motivo sono io: la prima che fa fatica a lasciare andrare. Ma abbiamo diritto a cambiare.

Il nuovo divano sarà verde petrolio, più largo e soprattutto permetterà a ciascuno di noi di allungarsi in avanti, se lo vorrà. Temo un po' la seduta poco profonda, ma sono disposta a rischiare. Domani tornando da scuola lo troveremo lì, ad aspettarci.

Avrei preferito che lo prendesse un amico, per andarlo a trovare qualche volta, ma nessuno si prende la briga di venirsi a caricare un divano di due metri e mezzo.

Addio, dunque.

lunedì 13 maggio 2024

L'orto segreto


 Oggi, dopo tanto tempo, ho dato una ripulita a quello che era una volta l'orto, il giardino.

Una vita concentrata sulla routine e cinghiali pressochè stanziali nel nostro terreno mi hanno fatto dimenticare di quello che mi faceva stare bene. 

La terra, il lavoro, il tornare a casa stanca dopo aver trafficato al sole proprio attaccata a casa: improvvisamente mi è tornato alla mente che cosa, insieme alla scrittura, allevia le mie sofferenze, mi dà pace, un senso di compiutezza e dà un senso alle cose.

Ma c'è di più: coltivare la terra, lavorare, far crescere ortaggi, raccoglierli sono per me terapeutici in modo immediato e pratico. Mentre scrivere mi toglie i pensieri, li fa sciogliere e li riordina, sistemando la matassa che ho in testa aggrovigliata, l'orto, dalla progettazione alla fatica alla realizzazione è un atto creativo, anzi, procreativo.

Le fatiche danno risultati, danno compiutezza, concretizzazione di qualcosa, e questo non succede spesso nella scrittura.

Come oggi raccontavo ad Agata, che ha lavorato con me perchè è uscita da scuola piena di energie positive e voglia di stare all'aria aperta(domani infatti piove), uno dei miei sogni ricorrenti più belli e vividi è quello che ha a che fare con l'orto: apro la finestra (a volte è quella del bagno, che dà sul terreno, a volte quella di casa dei miei nonni o altra) e mi accorgo che il posto che mi ero dimenticata di avere, il mio vecchio orto dimenticato, ha dato dei frutti enormi, meravigliosi e vari; ogni suo angolo apparentemente selvatico ne è ricco e io sono così felice, estasiata, piena.

Chissà che direbbe uno psicologo di questo sogno. Forse spero che prima o poi quel qualcosa che c'è dentro di me e che soffoco da troppo tempo prima o poi venga alla luce e magari proprio inaspettatamente e in modo prorompente.

Nella mia immaginazione di bambina il mio libro preferito è sempre stato il giardino segreto, proprio nella parte in cui Mary trova la chiave e poi scopre non solo un giardino nascosto dai rampicanti, ma all'interno dello stesso giardino i fiori e i bulbi più belli sono solo coperti o soffocati, ma pronti a rifiorire nella loro sfolgorante bellezza.

sabato 11 maggio 2024

Maggio


 E fu così che tornarono le rane, e con loro il caldo, le sere tiepide, il senso di libertà.

L'estate, con il fiume che scorreva piano; l'acqua più sottile che mormorava.

Niente mi dava pace e un senso di gratitudine come il gracidare di casa mia.

Finchè torneranno le rane, ci sarà sempre speranza, sempre possibilità di ritorni, di vita.

Di notti che cullano i sogni lenti.

Quando morirò, pensatemi in una sera di maggio, e lì mi troverete.


martedì 2 aprile 2024

A

 Quest' uomo non è piaciuto il mio post.

Credo che riuscirò a sopravvivere.

Il mondo è pieno di possibilità e sono migliaia i modi di guardarlo. Oggi ne ho cambiati un paio, domani chissà.

Ora vado, che domani ricomincia la scuola.

lunedì 1 aprile 2024

Quest'uomo

 Sento impellente il bisogno di scrivere. Lo sento come un bisogno fisico, che mi si piazza in gola se non soddisfatto, e fa male.

Oggi vorrei parlare degli uomini, ma uomini è parola generica. Indica una quantità indefinita ed immensa di esseri viventi di diverse età, facce, mestieri, professioni, nazionalità. A volte ΅uomo' indica persino il genere umano.

No, uomini non va bene.

Dunque parlerò di QUEST'uomo. Così non commetterò l'errore di generalizzare e, nel caso tornasse utile, chiunque potrà applicare la categoria anche ad altri individui a piacere.

Quest'uomo è sempre stanco.

Lavora in modo instancabile o, meglio, è instancabile ma costantemente stanchevole perchè appena entra in casa o tocca qualunque superficie appena più morbida di una sedia inizia a russare in meno di un secondo, e poi si sveglia e non si è accorto di aver dormito.

Quest'uomo può permettersi di entrare nel letto alle nove e mezza di sera con la scusa ( indovinate?) che è stanco, perchè ha lavorato tanto e non ha dormito abbastanza, e il recupero del sonno perduto non arriva mai, perchè è sulla ruota del criceto e non se ne accorge.

Mentre quest'uomo si riposa guardando serie tv, gli occhi fissi sul finalmente raggiunto oblio dato dal cellulare, tutta la vita scorre intorno a lui: qualcuno chiude la porta a chiave, prepara la spazzatura per l'indomani, piega i vestiti puliti, riordina cucina e salotto, dà la decima buonanotte ai figli, la pappa al gatto e così via. A volte passa persino un'eclissi, uno sciame di lucciole, due cinghiali, ma lui ha assoluto bisogno di riposo.

Perchè quest'uomo è tanto stanco, e continua a vivere, grazie alla sua stanchezza data dal lavoro ( risatine di sottofondo), come un cucciolo che sa che, nonostante tutto, la mamma pensa sempre a lui. La casa è in ordine e al sicuro, la bambina e il gatto a nanna e le luci sono spente.

Purtroppo quest'uomo non può garantire tutto questo a nessuno se non come prestazione forzata ed eccezionale che ricorderà chiaramente di aver elargito, perchè quando è capitato di avere il ruolo che non ha ha lasciato le luci accese, la porta aperta, il freezer chiuso male e la spazzatura dimenticata. Come una figlia lasciata a scuola, ma per poco, perchè la badante non gli ha permesso di dimenticarla del tutto(mormorio di disapprovazione in sottofondo).

Io parlo solo di Quest'uomo perchè non voglo immaginare che tutti gli uomini siano così. Sicuramente, come mi ricorda Quest'uomo, c'è di peggio, molto peggio; ma non sarebbe giusto crescere e vivere pensando di meritare il meglio e non il così così? Allora mi chiedo: sarebbe stato meglio nascere lesbica? Non sarà mica il caso di fare esperienze per verificare di non essermi sbagliata anche su quello?

Credo che quest'uomo non sarà felice di leggere questo post, e avrà da puntualizzare con sarcasmo che ci sono delle imprecisioni o uno sguardo eccessivamente negativo che distorce il tutto, ma un po' sarà anche felice per me, perchè finalmente ho sputato quella nocciolina che avevo in gola e che mi dava così fastidio. (E se non lo sarà, chissenefrega)

E mentre la casa è in ordine, i muffin in forno sono già cotti, la figlia dorme, la porta e la finestra sono chiuse e quest'uomo (ma dai?!) dorme e russa sul letto con il cellulare che continua a trasmettere cose, io mi sento finalmente così bene qui seduta sul divano, con il mio vecchio pc e la lucina accesa a scrivere, di nuovo, finalmente.

Così bene che sento che tornerò presto.



lunedì 14 febbraio 2022

Lettere in tempo di Covid

Cari insegnanti di Agata,

vi ho affidato mia figlia nel settembre 2020 sapendo che eravate bravi insegnanti, sia dal punto di vista umano che didattico.


L'ho fatto nonostante, a settembre, avessi saputo che sarebbero state necessarie le mascherine a scuola e mia figlia non sarebbe stata contenta; l`ho fatto anche con un po´ di apprensione,  immaginando che la scuola come gliela avevo sempre descritta e per cui lei aveva ereditato una grande aspettativa non sarebbe stata lì ad accoglierla. 

Agata è uscita a pezzettini dal lockdown: arrabbiata, preoccupata, isolata, depressa. La notte piangeva chiedendomi quando sarebbe finita e io non sapevo cosa risponderle. Pensavo che non ero in grado nemmeno di rassicurarla e non sarebbe bastato dirle di vivere alla giornata o riempirgliela con attività ludiche e ritmi scanditi da un cartellone fatto in casa.

Dopo un paio di mesi di tic e strani comportamenti, con l´aiuto di una psicoterapeuta ne è uscita, ma la rabbia e il disgusto nei confronti di quello che ha subito le sono rimasti.

Avevo lavorato un anno con voi, maestri, e, difetti caratteriali a parte (chi non ne ha, in fondo?), come una certa tendenza all´ansia, ho visto che eravate dei buoni candidati per fare da guide per lei per i successivi cinque anni.

Lei, con i suoi pregi e i suoi difetti.

Lei, intelligente, sensibile, refrattaria ai cambiamenti, grande lettrice, giocatrice di lego e di bambole, contestatrice, vegana convinta e mangiatrice di gelati fondente e fragola.

Inaspettatamente, tutto è iniziato meravigliosamente. Guarda cosa ho fatto, mamma, voglio vedere i miei amici, che bella la scuola, quando arriva lunedì?

Poi il maestro ha cominciato a chiamarmi e a dirmi che non sapeva come fare, perchè mia figlia non voleva proprio mettere la mascherina, e si avvicinava (orrore!) agli altri e alla sua migliore amica, che non sente ed è senza.

Abbiamo dovuto farle dei discorsi, che la scuola è così e le regole sono quelle, e lei ci chiedeva perchè, allora, ai giardini si poteva non usare.

Abbiamo dovuto reggere il gioco a una ingiustizia.

Il fine settimana è diventato il momento atteso per cinque giorni.

Da quel giorno, periodicamente esce da scuola e sfoga il suo disappunto e la sua frustrazione. Piange in silenzio. Una volta è stata messa in castigo perchè non teneva su la mascherina.

E io, come nella primavera 2020, mi sento impotente. 

Che cosa dovrei dirle, che finirà presto?

Lo sappiamo che prima o poi tutto passa, ma quando?

Non ho una data, e non ho neanche la garanzia che non succederà mai più. 

Vorrei portarla sulla luna, e dirle: guarda, amore, qui non ci sono nè gel, nè distanziamento, nè mascherine.

Ma sulla luna, come in un altro paese estero dove le regole sono diverse, o in una scuola parentale, non ci sarebbero le cose che lei ama di più, e soprattutto le persone.

Non ci sarebbero i suoi compagni, ma anche voi, cari maestri.

Di fronte alla scelta, che mai le imporremo, tra una scuola nuova con contatto e calore umano e una con gel e mascherine ma con i suoi legami di un anno e mezzo lei sceglierebbe comunque la seconda opzione, e soffrirebbe comunque.

Perchè Agata è così.

Oggi scarico la pagella di seconda, primo quadrimestre (non più ritiro, perchè non esiste più, dopo il covid, il rito del confronto con gli insegnanti del ritiro della pagella) e vedo quanti avanzati ci sono. Tantissimi.

Convinta che il giudizio sia comunque più importante e descrittivo rispetto ai livelli(fino a un mese fa ero un insegnante anche io, lo sono stata per ventun anni), scorro rapidamente in fondo.

Leggo: "Il comportamento è corretto. Agata è responsabile, ma talvolta non rispetta alcune delle norme che disciplinano la vita della scuola"

Tutto qua. il comportamento di Agata ridotto al suo atteggiamento nei confronti delle mascherine e del distanziamento, che chiaramente si rifiuta di rispettare.

Ora vi chiedo, cari maestri: vi siete chiesti cosa sarebbe stata mia figlia in quel trafiletto senza le regole del covid, regole che nessuno al mondo avrebbe normalmente accettato in una situazione di logica normalità?

Vi siete mai chiesti cosa sarebbe stata la scuola senza il covid per mia figlia e per gli altri bambini?

Con quale entusiasmo sarebbero arrivati in classe? Quali abbracci vi sareste presi da loro? Quali carezze avrebbero preso loro da voi, senza queste assurde regole? 

Quanti gesti di genuina spontaneità, come prestarsi i colori, passarsi la palla, festeggiare abbracciandosi e altro ancora?

Tu, maestro, non fai nemmeno cantare tanti auguri ai compleanni. E tu, maestra, ti scansi quando Agata cerca di abbracciarti.

Cammino per le strade e vedo gente con la mascherina ancora adesso, che hanno detto che si può togliere. Gente nel nulla, o sola in macchina.

Se questo è stato fatto agli adulti, vi immaginate cosa può essere stato fatto a un bambino?

Non credo che leggerò quella parte della pagella ad Agata, ma sappiate una cosa: preferisco che mia figlia abbia un giudizio che non avrebbe mai dovuto prendere sulla pagella che avere  un bambino che si è adattato tanto alle regole da non poter fare a meno della mascherina o di disinfettarsi le mani anche quando non è prescritto.

Hanno fatto un danno enorme a questi bambini, e voi siete stati complici, per non avere mai dissentito, e come non avete dissentito ora neanche quando vi hanno detto di controllare un qr code per far accedere un alunno a scuola.

Lei, Agata, vi ama comunque. Ma non sa come avrebbe dovuto essere.

Io non vi perdono, maestri.

venerdì 14 gennaio 2022

Cosa sono io


In questi giorni in cui c'è un'alternanza, dentro la mia testa, di compressione e rivoluzione, mi capita spesso di chiedermi chi sono.

Sono quello che rappresento? In questo caso, una brava maestra, una persona cordiale, una madre e moglie, una vicina di casa? Una collega creativa e disponibile?

Sono quello che faccio? Una maestra elementare, una che si occupa (spesso in maniera trasandata) della casa, in modo più accurato della propria figlia?

Mi guardo allo specchio e penso a quello che mi disse una volta mia madre.

Che lei si sentiva sempre lei, lo stesso modo di pensare, di sentire, le stesse idee e percezione interiore di quando era ragazza. Poi si guardava allo specchio e c'era una signora di una certa età. Solo la pelle era cambiata.

Forse, dopo un po', non ci si guarda più veramente, allo specchio.

Ci si passa solo davanti più che altro per controllare che sia più o meno tutto a posto, ma non ci si studia più tanto, come quando si doveva imparare a conoscersi, controllare di poter piacere agli altri e a se stessi da ogni angolatura.

Ci si passa soltanto perchè non si ha più bisogno di tutto questo, ma anche perchè si ha paura, un po', di soffermarsi troppo e rischiare di non riconoscere più quella persona in cui ci si era identificate anni prima, quando conoscersi era l'obiettivo primario della nostra vita.

Il corpo è un contenitore e tale deve essere. Lucidato, curato sì, ma quello che siamo non è più lì, riflesso. 

Quindi, chi sono io.

Al momento, quello che sono non lo so; sono in divenire, come tutte le cose.

E se facessi qualcosa che spezzasse ogni idea che avevo di quello che sono? 


Al di là del mio aspetto, dei miei modi di fare, delle mie espressioni, delle rughe vecchie o nuove so che, in ogni caso, è necessario che per essere me stessa segua il flusso e il mio personale sentire.

Senza questo, senza fare quel che sento che in cuor mio è giusto, io non sono nessuno.