mercoledì 30 luglio 2014

il cordone

Sono arrivata all'ospedale dopo essermi informata dei danni conseguenti al taglio precoce del cordone ombelicale e con un foglio con su scritto che avrei voluto che aspettassero almeno che smettesse di pulsare. Il foglio è rimasto nel borsone perchè siamo arrivati a pelo e quando è nata Agata l'infermiera gliel'ha tagliato immediatamente e al mio cenno di aspettare ha fatto segno di non capire perchè. In realtà M. ha provato a dire no, ma in quel momento sembrava che io avessi un'emorragia e avevo capito che aspettare a tagliare l'avrebbe peggiorata, così ho lasciato fare (tanto l'avrebbero fatto comunque). Ci sono cose che non ho potuto controllare, nonostante l'avessi scritte nel foglio del parto. E' la conseguenza di partorire in ospedale: quando ti affidi ad una struttura sanitaria, il prezzo da pagare per una presunta sicurezza è il mancato controllo di ciò che sta avvenendo. Il tuo corpo non è solo tuo.
Pazienza, ho pensato. Agata avrà tutto il tempo di recuperare e l'alimentazione bilanciata che abbiamo a casa non le permetterà di perdere troppo ferro una volta svezzata.
Solo che il taglio precoce del cordone ha agito su di me in modo profondo. Le prime settimane in cui siamo state a casa avrei avuto bisogno di lasciarla andare gradatamente, secondo i miei e i suoi tempi, ma non è stato sempre possibile. Troppe visite, parenti, gente. Avrei voluto stare in isolamento noi tre per un po', ma mia suocera il giorno delle dimissioni si è precipitata a casa nostra ed ha passato un'ora sul nostro lettone, dove io stavo allattando, guardandoci tutto il tempo e facendo commenti persino sul mio seno. 
Ormai quel cordone mentale ha cominciato da tempo - come è giusto che sia- a sfilacciarsi, ma devo ancora superare quell'invasione di campo che, mi spiace dirlo, solo M. avrebbe potuto - e dovuto- arginare.

martedì 29 luglio 2014

Io e Agata



Quasi tre mesi e mezzo, ed ecco che ritorno.
Troppe cose, sensazioni, emozioni. Tornerò piano piano, poco a poco.
Per adesso mi basta essere tornata, senza dire niente. 

martedì 1 aprile 2014

Un tavolo nuovo

Dopo un paio di mesi di attesa, finalmente è arrivato il tavolo nuovo che abbiamo fatto fare da una ragazza-falegname. Ne avevamo bisogno. Quello vecchio aveva le gambe instabili, tutte graffiate dal gatto, era appiccicoso per un lavoro di restauro mal riuscito ed era davvero troppo piccolo.
L'avevamo comprato diversi anni fa, quando siamo andati a vivere insieme per la prima volta, in un mercatino dell'usato per meno di 60 euro, forse 40. Da allora tutte le nostre cene, giochi, chiacchiere, anche qualche litigio si sono svolti intorno ad esso. Ci abbiamo corso intorno, preso cioccolate calde, fatto colazione, mangiato risotti, sgranato piselli, giocato col gatto; io ci ho cucito a macchina, M. ci ha suonato accanto, la Pippi ci ha fatto lunghe dormite attaccandoci i suoi peli. Tutte le cose e le decisioni importanti della nostra vita sono avvenute non distanti dal nostro vecchio tavolo, che forse ha assorbito in quel legno poroso l'essenza delle nostre vite.
Ora è di sotto, in cantina; non l'abbiamo mandato del tutto in pensione e non ce ne disferemmo mai. Forse ospiterà qualche tè del pomeriggio dopo un weekend di lavori nell'orto, o qualche colazione di ospiti inattesi e segregati al piano di sotto per la notte.
Al suo posto impera, in cucina, un nuovo tavolo fatto di assi lunghe e diverse. Anche questo ha già una sua storia, perchè fatto di legno di recupero. Le gambe sono di ferro, così non potranno più essere scambiate dal gatto per una lima per unghie, e la finitura è più leggera, non appiccicosa. Ci stanno le tovagliette -finalmente!- e volendo ci si sta in otto a mangiare. Come ogni fascinoso estraneo, lo guardiamo a giorni alterni con interesse e diffidenza: a mangiarci in due ci sentiamo lontani, ha un odore non familiare e il ferro delle gambe, dentro cavo, risuona con le note acute del flauto.
Ormai, però, fa parte della nostra casa e piano piano farà parte di noi. Sopra o intorno, immagino pranzi con amici che non abbiamo mai potuto fare per problemi di spazio, nuovi post scritti sul mio blog, piccole scamiciate cucite a macchina, concerti improvvisati con i musicisti del gruppo e, soprattutto, qui a capotavola, un esserino saldamente agganciato con una seggiola che allunga le manine e tocca, assaggia, lancia il cibo che trova sulla tavola.
Nuovo tavolo, una storia che continua.

sabato 22 marzo 2014

Agli sgoccioli

Cara Agata,
Ti ho aspettato tanto. Ti ho aspettato per otto anni e, quando ho saputo della tua esistenza, sono stata felice, ma combattuta e per un po' anche ostile, perchè credevo che saresti stata diversa. Che saresti arrivata da un'altra mamma, da un altro paese, che saresti stata di un altro colore, diversa da noi in tutti i sensi. Credevo che il tuo arrivo avesse spazzato via l'arrivo di un altro bambino, ma ora so che non è stato così. Attraverso strade strane e tortuose, ci sei sempre stata solo tu lì, nel limbo dei bambini, ad aspettare noi.
La tua attesa nella pancia è stata brevissima, ma intensa. All'inizio ho cercato di far finta di niente, di essere sempre io, per paura di perdere la mia identità, e ho continuato a strafare, dotata miracolosamente di energie mai avute. Poi ho ceduto, abbandonandomi al mio stato, e rimpiangendo di non averlo fatto prima, perchè "covare" non stravolgeva per niente il mio senso dell'esistenza. Il tempo è volato e forse mi ha dato un assaggio di quello che è il tempo coi figli: già da quando cominci ad aspettarli ti sfugge, corre, scivola in un batter d'occhio.
 Qualche volta riesci a fermarlo, però. Ci sono momenti di piena consapevolezza e miracolosa calma in cui contempli il momento che sta per finire ma che è ancora lì, tremolante e presente, e riesci a viverlo a pieno. Come i lunghi minuti in cui io e tuo papà, negli ultimi mesi, ce ne siamo stati a lungo nel letto abbracciati, a fare supposizioni su quello che sarebbe stato o semplicemente così, in silenzio, a goderci gli ultimi momenti di solitudine.
Abbiamo imparato a congedarci con l'esistenza esclusiva in coppia, che è durata così tanto per noi, e ci siamo preparati - ma quando si è mai veramente pronti? - ad accogliere nel pieno centro del nostro nucleo un'altra vita. A non essere mai più solo noi due, ma noi tre.
Queste ultime settimane sono particolarmente strane. Io, che non ho pianto mai nemmeno per gli ormoni e sono sempre stata piena di ironia e sarcasmo sulle cose della vita, mi commuovo continuamente. Tuo papà dice di essere elettrizzato, ma entrambi abbiamo un misto di paura, esaltazione, ansia, felicità. Tutti questi elementi daranno per magia un aspetto romantico alla tua nascita, che di per sè è un atto violento, sporco, crudo.
Siamo pronti, più o meno.
Pronti a farci stravolgere la vita, a girare pagina.
Adesso, per favore, però, togli quel piedino dal mio fegato e soprattutto ESCI DA QUESTO CORPO!!!!!!
La tua mamma :-)

domenica 9 febbraio 2014

Il tempo delle viole mammole

Sono già i primi di febbraio, siamo in pieno inverno, ma comincio a sentire la primavera che arriva. Nonostante le piogge continue e il clima rigido, nelle rarissime(e preziosissime!) giornate di sole riesco già a vedere in fondo al tunnel stagionale. So che non è così vicina e senz'altro il generale inverno ci regalerà più di un colpo di coda prima di cedere, ma la natura non mente: in giardino sono fiorite le viole mammole e la mimosa ha già dei piccoli fiori gialli che non vedono l'ora di esplodere. Un bombo si è arenato da qualche giorno sui fiori dell'erica in terrazzo e, a parte qualche volo instabile e coraggioso non appena è riuscito ad asciugarsi un po' dall'ennesima doccia, sta lì ad aspettare tempi migliori.
Così stamattina, con l'elettricista che mi ha costretta a casa (sembra di vivere in un cantiere, ed è solo l'inizio), mi sono piazzata per un paio d'ore sulla panchina in terrazzo, al sole, mentre il termometro segnava più di venti gradi. La bambina adesso percepisce la luce e le differenze di temperatura esterna, e mi sono scoperta la pancia per far godere anche a lei questo tepore insolito. Agata dovrebbe nascere quando la primavera sarà iniziata da poco, nella stagione in cui tutto nasce e si risveglia.
Ho cominciato a rassegnarmi al mio stato di palla con le gambe e ogni tanto mi concedo qualche pisolino pomeridiano, anche perchè la mattina mi sveglio prestissimo e fatico a riprendere sonno. Vado in piscina un paio di volte a settimana e abbiamo iniziato anche ad andare ai corsi preparto dell'ospedale, dove c'è sempre una terribile puzza di piedi perchè ci fanno sedere su dei tappetoni senza scarpe, e qualcuno avrebbe bisogno di un bel pediluvio.... 

Sono contenta, insomma, ma sempre in apprensione perchè temo di partorire in anticipo, senza M., proprio nella settimana in cui lui sarà in Germania. Intanto cerco di starmene tranquilla e non avere troppi pensieri.
Uscire ed avere a che fare con altre donne incinte, comunque, è una cosa che non mi dispiace. Non temo di rompere le scatole con argomenti che in genere, dopo un po', annoiano la maggior parte delle persone, ma qualcosa di me fa sì che anche in queste situazioni ci sia una distanza tra me e gli altri.
Le mie idee sono spesso diverse dalle loro, sia sul parto che su tutte le futilità collaterali alla gravidanza e all'accudimento dei figli. Così a volte mi espongo, suscitando curiosità o battute, e a volte me ne sto zitta per pudore. Nello spogliatoio della piscina sento parlare di trio, di lista nascita, lettini con le sbarre, di girello e box, di pampers e altre cose che non fanno parte delle nostre scelte e non so se dire che io ho intenzione di usare quasi solo la fascia, un lettino rasoterra e i pannolini lavabili o starmene zitta. Al primo incontro in ospedale sono l'unica che ha fatto domande all'ostetrica e che si è posta interrogativi su cose che non toccavano minimamente gli altri genitori: la possibilità di evitare l'aggiunta e il ciuccio, il taglio del cordone troppo precoce e così via. Non è che tutto questo mi faccia sentire superiore e saccente; anche se mi sento molto consapevole in questo percorso, mi rendo conto che tra la maggior parte delle persone che "subiscono" le decisioni degli altri e il modo in cui le cose sono sempre andate e me, che cerco di controllare tutto e far le cose a modo mio ci potrebbe essere una equilibratissima e pacifica via di mezzo. Ma non fa per me, evidentemente. 
Come ha detto saggiamente la mia amica Maria, il parto, come la morte, è una di quelle cose che non puoi proprio controllare. Già, sto iniziando a rendermene conto, ma il modo di approcciarsi ad esso sì...o almeno credo.

sabato 18 gennaio 2014

Di pioggia e Scarabeo

Questa pioggia mi snerva. L'avrò già detto o scritto un milione di volte, ma la mia percezione delle condizioni atmosferiche non è più quella di una volta. Da bambina andavo pazza per le precipitazioni di ogni genere: pioggia, neve, grandine, tutto andava bene. Intanto c'era sempre un posto in cui sarei stata(o, almeno, mi sarei sentita) al sicuro.
Diventando grande è aumentata l'ansia. Vivendo in campagna, in una casa vecchia e che trasuda acqua da tutti i pori per giunta, abbiamo avuto e ancora abbiamo inconvenienti di ogni genere quando "precipita" qualcosa dal cielo: orto allagato, terrazzo che cola, cantina umida, muffa sui muri, una marea di condensa nella veranda. Essendo più o meno indipendenti, poi, non abbiamo un portone, un pianerottolo in cui sgocciolarci e ripulirci: si entra diretti in casa, e ci tocca asciugare e pulire.
In questi giorni, oltre alla pioggia ininterrotta (a parte una giornata spettacolare che mi ha fatto sperare che la primavera prima o poi arriverà) io e M. abbiamo avuto, "grazie" alla sua varicella, probabilmente gli ultimi giorni da soli, in tete à tete prima della nascita della bambina. Niente di speciale, in effetti: lui doveva stare riguardato per il timore delle complicazioni e il tempo non permetteva di mettere nemmeno il naso fuori, ma ce la siamo goduta. Pranzare a casa insieme, vedere un film fino in fondo senza addormentarsi, fare qualcosa di diverso, come una partita a Scarabeo o il pane sono stati lussi che in nessun altro caso avremmo potuto permetterci e probabilmente non si ripeteranno per chissà quanto tempo. In più ha ricominciato di nuovo ad occuparsi di me, a darmi una mano in casa e a cucinare, e io ne avevo proprio tanto bisogno.
Non so se siamo preparati a diventare genitori: la cosa ci lascia straniti e ci fa anche un po' paura, è come buttarsi nel vuoto senza prevedere esattamente cosa ci aspetterà e come reagiremo noi, ma confido nel fatto che non essere più dei ragazzini e aver avuto modo di lavorare molto su noi stessi come figli e come ipotetici genitori quando cercavamo di adottare un bambino possa dare qualche frutto in questa esperienza.
Nei prossimi giorni, per prepararci all'arrivo di Agata, ci toccherà spostare armadi, ridipingere muri, comprare un letto nuovo per noi e vivere un po' all'aria, come in mezzo ad un trasloco; intanto cerchiamo di goderci questi ultimi giorni di quiete, in cui gli unici rumori dentro casa sono il crepitìo della legna nella stufa, il flauto di M. e la pioggia sul tetto della veranda. Vista in quest'ottica, anche la pioggia incessante sembra meno inquietante.

domenica 5 gennaio 2014

Inconvenienti

Eccoci qua, io e mio marito, a casa in un pomeriggio d'inverno in cui, finalmente, il meteo ha iniziato a dare un po' di tregua. La stufa è accesa, la coperta sulle ginocchia, il gatto fa le fusa sul divano, io sono a casa dal lavoro per maternità e M. per il ponte.
Sembrerebbe tutto perfetto se non fosse per un piccolo dettaglio: M. ha preso la varicella.
Dove, non si sa, ma la mia diagnosi ha preceduto quella della guardia medica, che all'inizio non ci voleva credere e non è venuta a visitarlo, ma poi si è fatta vedere e l'ha confermata.
Da tre giorni ha febbre altissima che non scende per più di mezz'ora e da ieri sera la sua faccia e il resto del corpo sono mostruosamente ricoperti da pustole rosse e purulente. Passiamo le notti quasi in bianco, lui per il malessere, la febbre, i brividi e io per le pezze bagnate, i suoi lamenti, il termometro, la tachipirina da prendere. Per non parlare della pancia, che comincia a pesare e tira come se tutti i muscoli fossero annodati e sempre in tensione. 
Insomma, lui sta male e gli salteranno un sacco di programmi per quindici giorni, prove del disco comprese, e io...beh, non posso nemmeno godere della sua presenza a casa. Niente baci, abbracci, uscite e nessuno che mi dia una mano in casa, proprio adesso che ne avrei più bisogno. Mi tocca di nuovo portare la spesa, caricare la legna per la stufa, lavare per terra e così via. C'è di peggio eh, ma potevamo farne a meno.
Intanto cerco di riorganizzare la mia nuova vita senza scuola: tra i prossimi corsi in piscina e al consultorio, lo spostamento di alcuni mobili, i tentativi di cucire un paio di fasce e bavaglini e l'acquisto di cose utili ad Agata approfittando dei saldi non sembra che avrò molto tempo per annoiarmi.
Ah, dimenticavo: forse alla fine di tutto avrò un marito nuovo, più magro e deturpato, e io mi sarò iscritta alla facoltà di medicina.