venerdì 30 dicembre 2011

La peggio Italia


I desideri di emigrazione che ogni tanto mi prendono non dipendono solo dalla crisi e dalla paura di non farcela, qualora le cose peggiorassero: è il confrontarsi con l'Italia degli imbecilli che mi sconvolge, ed è un evento almeno settimanale.
Ore 11,30: vado nel piccolo ufficio postale del mio sperduto paese per un paio di operazioni. Da qualche mese hanno messo allo sportello una specie di Fantozzi dotato di una mollezza incapace degna di sconforto. Ogni operazione vale almeno quindici minuti e non so come sia possibile che nessuno urli dall'insofferenza, ogni tanto, quando è in coda.
Sono già dovuta andarci l'altro ieri per pagare il gas, ci ero stata una mezz'ora, ma ieri è arrivata la bolletta del telefono e l'avviso della raccomandata con il risultato delle mie analisi, così eccomi di nuovo in quell'ufficio angusto, armata di tanta pazienza.
Arriva il mio turno dopo due persone e venti minuti di attesa e...la raccomandata non si trova. Semplicemente, non c'è. Il postino se l'è bevuta. Comincio a pensare che non se ne verrà a capo facilmente. Il tizio, dopo aver riflettuto sette minuti guardando nel vuoto, dice che dovrebbe esserci la tracciabilità e per un quarto d'ora smanetta col sito delle poste senza chiaramente sapere dove andare: ripete le stesse manovre quattro o cinque volte e non combina niente. Mossa da pietà, faccio passare una persona che aspettava e poi mi rivolgo al tizio allo sportello proponendogli di telefonare alla posta centrale. Prova e non rispondono, e devo insistere alzando un po' la voce per farlo provare un'altra volta. Ripete di continuo parole sconnesse, parla da solo e non capisco cosa stia dicendo. Mi infiammo un po', colpa della tiroide eh, e ci discuto per cinque minuti.
Alla fine pare che la busta sia da un'altra parte, ma non è sicuro, e dovrò provare domani.
Ore 12,40: arrivo a casa e provo a chiamare in ospedale per sapere se il dosaggio delle medicine è cambiato ed eventualmente prenotare la prossima visita. Dico che non si trova la raccomandata e, dopo aver risposto a varie domande degne della Gestapo, finalmente riesco a sapere l'esito. L'infermiera mi dice che, visto che le analisi erano di dicembre, dovrò ripetere la visita dopo due mesi, quindi - dice - tornare a marzo. A marzo? Ma a casa mia due mesi da dicembre sono a febbraio. Oltretutto le medicine le sto prendendo da un anno, e più di un anno non si potrebbe perchè sono dannose. Mi sento rispondere in modo stizzito: -ma signora c'è gente che le prende tutta la vita! -. Ovvamente si confonde con un'altra medicina, e glielo faccio notare, facendola finalmente zittire.
Poco tempo fa, alla visita col primario, mi sono sentita dire che il problema agli occhi che ho non dipende dalla tiroide ma forse -testuali parole - "E' un nervo scoperto da qualche parte", mentre lo sanno anche i cani che non è possibile.
M. dice che sono diffidente, che non mi piacciono i medici, ho sempre qualcosa de obiettare e non mi va mai bene nessuno. Sarò pure diffidente, ma è anche vero che sono - siamo tutti - in mano a una branca di imbecilli, dalle poste al supermercato ai medici agli insegnanti. Avrei un elenco di aneddoti sulla malasanità agghiacciante da raccontare.
Forse è un atteggiamento un po' fascista, ma perchè non si fa mai un bel ripulisti da uffici, scuole e ospedali quando ci si accorge che ci lavorano degli incapaci e, in alcuni casi, potenziali criminali occasionali colposi? Com'è possibile che l'istruzione e selezione lavorativa arrivi a far occupare delle sedie a gente pericolosamente inefficiente?
Domani torno in posta, ma vado a quella centrale a cercare la mia raccomandata. Chissà al toto-impiegato chi mi capiterà.

Il mio 2011


Normalmente non mi soffermo molto a fare bilanci d'anno, ma questo 2011 in via di conclusione è stato veramente denso di novità, belle e brutte, ma che l'hanno decisamente movimentato e ne hanno fatto, comunque, un anno importante.
Cos'è successo nel mio 2011? (Potrei chiamarlo: "Cose del 2011):
E' stato l'anno degli incidenti sul ghiaccio e delle malattie (macchina distrutta, una mano rotta, problemi alla tiroide);
l'anno delle trasformazioni (io sono ingrassata per le medicine, M. è dimagrito perchè ha fatto la dieta);
l'anno delle decisioni sofferte(di chiedere il trasferimento, di non fare le vacanze);
l'anno dell'autosufficienza (ho imparato a tagliare i capelli, ho riverniciato le persiane e dato il colore ai muri esterni di casa);
l'anno delle novità e dei nuovi inizi (abbiamo deciso di adottare un bambino, ci siamo sposati, ho iniziato a fare l'orto).

Cosa mi aspetto per il 2012? Di sviluppare i nuovi inizi e di aver finalmente imparato dalle lezioni del 2011.
Quest'anno staremo a casa: è la prima volta che lo passiamo qui da quando ci abitiamo, ed è l'ora di riappacificarci con questo posto che, almeno all'inizio, ci ha dato un sacco di grane.
Addio, 2011.
Sono pronta per un anno nuovo.

martedì 27 dicembre 2011

Vacanze in corso


Nonostante questo Natale sia stato molto più modesto (regali ridotti all'osso, molti fatti a mano), non siamo riusciti ad evitare un paio di strafogamenti dai parenti e una bevuta con gli amici (quella solo per M., io sono astemia), a cui abbiamo rimediato con qualche Maalox.
Ci siamo ritagliati una mattina, il 26, per fare una passeggiata nei dintorni, un giro esplorativo sulle colline-panettone scavate dal fiume chissà quante centinaia di anni fa. La giornata era bellissima, quasi trenta gradi al sole. Abbiamo scoperto sentieri nascosti, piccoli campi incolti, casette in pietra abbandonate. A M. è venuta voglia di insalata e così mi ha convinto a raccogliere con lui un po' di tarassaco - che lui non distingue dall'ortica -, che si è mangiato a pranzo, mentre io lo sputacchiavo perchè era amaro.
Il pomeriggio ci siamo accesi la stufa e, verso sera, un paio di musicisti imberbi sono venuti a trovarci e a far due note in casa, in cambio di un bicchiere di vino e un latte e cacao. E' la vita della moglie di un musicista: ascolti buona musica e sei a tratti sola e a tratti girovaga, ma soprattutto cucini e spignatti in caso di necessità.
Poi, alla sera, un concerto e una session in un bar gestito da un uomo comprensivo che non ha potuto dire di no a sei musicisti armati di strumenti.
Abbiamo fatto le due, ma stamattina io ho finalmente dormito fino alle dieci, pronta a cominciare a godermi le vacanze, mentre M. era già da un'ora a lavorare.

mercoledì 14 dicembre 2011

Cose di dicembre


piantine di spinaci
ago, filo e un sacchetto di lana
pantofole rosa antico
il gatto tra le coperte
la scoperta di un sentiero segreto
fiamme alte nella stufa
il buio, la mattina.

giovedì 24 novembre 2011

La lumaca


Ieri decido, in un raptus della casalinga mancata, di andare per l'ora di pranzo, dopo la scuola, a fare la spesa all'ipercoop di Savona.
Sono le due e mezza e mi dirigo verso un bar dove fanno focacce farcite. Chiedo di quella con le verdure grigliate, ma porca miseria, l'hanno finita. Non mi picco più di tanto; ripiego per un noioso pomodoro e mozzarella e mi dirigo al tavolo. Ho una fame che mangerei anche una...
...lumaca, per l'appunto. C'è una lumaca sul mio tavolo. Piccola, senza guscio, di quelle che da me escono di sera sul terrazzo. Nel posto più asettico della città, dove ogni traccia della natura è svanita, una lumaca passeggia a passo piuttosto spedito sul tavolino di un bar.
Chissà da dove arriva.
Dall'insalata? Oddio, spero non da quella di un panino. Ma allora da dove?
La mia focaccia è pronta e io decido di mangiarla in compagnia della mia lumaca.
Ogni tanto punta al piatto e io la sposto un po' più in là. Mi guardo intorno e nessuno la nota. Eppure è ben visibile. Anche se è piccola, è una macchia marrone bavosa e semovente su un piano bianco.
Ho quasi finito; nel frattempo la lumaca è sparita. La cerco e intanto devo sembrare un po' svitata, perchè chi guarda ai bordi di un tavolo, sotto un piatto, sotto il tavolo?
Comunque eccola lì, sotto il tavolo. Deve essere scivolata sul bordo liscio.
E ora che faccio? Di buttarla non se ne parla.
Per un istante medito di portarla a casa con me. Lì starebbe benissimo, ma come faccio? Devo ancora fare una spesa colossale e chissà dove finirebbe.
Decido comunque di prenderla e la agguanto con un tovagliolino. Mi alzo e mi aggiro per l'ipercoop come una marziana, finchè non arrivo vicino ai giochi per bambini, dove avvisto un angolo con delle piante. Mi sembrano vere, e la lancio sulle foglie.
Povera lumaca, era lei la vera marziana laggiù.

Chiunque vada all'ipercoop a Savona nei prossimi giorni, può controllare se vicino alle calle, dietro i giochi del piano basso, c'è una lumaca? La rivorrei indietro. Mi è venuto in mente che le lumache non mangiano le piante da interni...

mercoledì 23 novembre 2011

Brlulù le mille bolle (non blu)


Lo sapevo. I mali oscuri e misteriosi vengono solo a me. Ci tengo a precisare che non sono ipocondriaca, ma solo un po' esperta di malanni perchè portata per l'empatia (e ho conosciuto tante persone malate) e modesta conoscitrice di principi attivi delle medicine, causa padre chimico e fissato.
Da qualche settimana ho le bolle. Ogni mattina me ne ritrovo due o tre nuove, pruriginosissime. Pancia, ascelle, collo, gambe, braccia: solo la faccia per ora è stata risparmiata. Me le tengo per un paio di settimane e passo sere e mattine a grattarmi, e non è un bel vedere, per niente. Una maestra che si gratta non è credibile, un cliente di supermercato che si gratta crea diffidenza e sospetto.
Così, come sempre, sono ricorsa al fai-da-te e all'autodiagnosi. Sarà il gatto? Gli acari?La tiroide? Oppure è un'allergia alimentare?
Così ho iniziato ad eliminare le noci, che mangiavo da un po' a carrettate.
Tre giorni buoni e poi rieccole lì: tre bolle sulla pancia.
Ho fatto i biscotti di riso e ne ho mangiati un bel po': saranno stati quelli? O gli spinaci?
E se fossero gli acari delle orecchie del gatto, che di notte vengono a trovarmi nel letto? Fatto sta che, nel mezzo di due giorni di elucubrazioni, mi compaiono due bolle sul collo (fin lì non ci erano ancora arrivate) e sulla spalla.
Stasera, presa da un raptus, ho deciso di prendere gli acari in castagna, nel caso fossero quelli. Ho scoperchiato il letto, messo tutto a lavare, compresi i pigiami e le federe che coprono i cuscini. Ho areato la camera portando la sua temperatura a 7 gradi e cambiato tutta la biancheria.
Non contenta, ho attaccato il monster, malefico micro-aspiratutto regalatomi da mia madre anni fa, e ho aspirato tappeto, divano arancione e poltrona.

Ora che mi sento nel pulito, magari ancora un biscotto di riso me lo mangio, và. Son tanto buoni...
Intanto si deve isolare un elemento di rischio alla volta, no?

lunedì 21 novembre 2011

Sogni d'acqua e orrori umani


Sulla scia del mio recente post nefasto e apocalittico, colpa forse dell'alluvione, continuo da qualche giorno a fare sogni con strade che si allagano, il mio paese che si allaga, spiagge che si allagano.
Ho persino fatto un sogno - spero non premonitore - in cui ero in una scuola (mai vista, ma che ho scoperto esistere) in una via (mai sentita, ma ho scoperto esistere) posizionata vicino alla spiaggia (e ho scoperto che è proprio sulla spiaggia) in un quartiere di Genova, Sturla(in cui è proprio quella via). Ovviamente pioveva a dirotto, il mare ormai lambiva il muro esterno della scuola e la strada era un fiume in piena...
Tutto ciò è piuttosto agghiacciante.
Ma c'è qualcosa di più agghiacciante che da ieri mi ossessiona (o quasi): una mia scoperta, tra l'altro fatta in un bar graziosissimo e nuovo di Finalborgo, mentre bevevo un tè inebriante e mangiavo un biscottone di pastafrolla. Insomma, a farla breve ho letto un articolo di rivista in cui si parlava della mostra attualmente a Roma e delle opere di un certo Gunther von Hagens, che spella, disseziona, prosciuga e "plastifica" cadaveri mettendoli in pose quotidiane per poi, infine, esporli in mostre in giro per il mondo. Non metto foto su questo blog perchè fanno altamente schifo, ma non è tanto per il disgusto del vedere esseri umani scuoiati (sono un'appassionata di horror, anche se mi terrorizzano), quanto per pudore, per rispetto a quei cadaveri che, seppur abbiano scelto di farsi esporre e scarnificare dopo morti - ma avranno avuto diritto di parola i parenti? - ,non hanno avuto, nè i loro cari, diritto all'intimità che un evento sconvolgente come la morte merita.

Io non capisco. Siamo abituati ormai a parlare di tutto, dalla cacca alla fellatio alla pedofilia, ma com'è possibile che i media, persino le leggi nazionali, facciano passare così in sordina una cosa del genere? Come si può parlare di arte quando per crearla non si dipinge un corpo vivo, che in corso d'opera può anche cambiare idea e non essere più usato, ma invece si profana un cadavere, messo in mostra per sempre? Dov'è finita la sensibilità umana? Come si possono portare i bambini a vedere una cosa del genere - e ce ne vanno tanti, tantissimi - ? Dopo aver dissociato la bistecca dall'animale, in modo che non ci si ponga più problemi di significato e di processo, siamo forse di fronte alla bistecca umana? Se le persone che vanno alla mostra vedessero anche i momenti di preparazione del morto non sarebbero così curiosi di vedere quelle che erroneamente vengono chiamate opere d'arte. Si tratta solo di cadaveri profanati.
La differenza tra questo e un film dell'orrore splatter è che questo è reale.

Ho idea che i miei sogni d'acqua si trasformeranno presto in sogni horror, e pure di bassa lega.

sabato 12 novembre 2011

La fine del mondo


Ieri sera, dopo un'accesa discussione con amici sul disastro economico dell'Italia, la crisi di molti paesi d'Europa, l'alluvione a Genova e i cambiamenti climatici, mi sono messa a sfogliare il giornale comprato al mattino.
Ad un tratto ho cominciato a pensare: e se davvero fosse l'inizio della fine? Se davvero il mondo fosse giunto al suo tramonto?
Ed ecco che le prospettive cambierebbero drasticamente: che ce ne faremmo degli articoli di giornale, delle recensioni, dei libri, dei nuovi film usciti al cinema, della musica, della immensa cultura umana? Dei programmi tv, della presenza incombente della De filippi, delle mostre d'arte, dei progetti per il futuro, delle lezioni in classe e di tutto il resto? Persino il mio percorso verso l'adozione si interromperebbe, sciogliendosi come neve al sole. Tutto svanirebbe nel nulla e niente avrebbe più importanza, perlomeno niente di quello che adesso sembra averne così tanta.
Una prospettiva agghiacciante di umanità che cadrebbe in un abisso di ansia, disperazione, misticismo, forse aggressività e, infine, oblio.
Non so, effettivamente, a quale tipo di catastrofe mi riferisca. Non so se sia un'improbabile - ma pur possibile - fine del genere umano, una crisi economica, una crisi energetica o un paio di queste messe insieme. Forse, mentre da questa parte del mondo tutto crolla, dall'altra tutto si ricostruisce.
Di fatto, qualcosa sta comunque per finire e finirà. E' più probabile che si debba abbandonare una serie di certezze e riorganizzare la propria esistenza su punti di riferimento nuovi e mettendo in opera risorse differenti. Forse dovremo imparare a vivere senza più la tranquillità del denaro, della sicurezza economica - anche se mi chiedo: quando c'è mai stata? - , ma anche di quella fisica. Non ci sentiremo e non saremo, d'ora in poi, più al sicuro tra le mura delle nostre case.
Forse, per stare più sereni, dovremo vivere in comunità con altre persone. La vicinanza, il comune sentire, ci daranno la consapevolezza che, qualsiasi alluvione, crollo economico, tifone o catastrofe arrivino, finchè esisterà il genere umano resterà la vera risorsa di cui non si può fare a meno, la condivisione tra persone e il reciproco riconoscimento. Senza tutto questo, non ci saremmo forse nemmeno evoluti.

Quel che è certo è che dobbiamo cominciare a cambiare prospettive e modo di vivere, e stavolta non è un proposito per il futuro, ma un imperativo imminente come lo sono adesso la stabilità politica e le dimissioni di Berlusconi.
La fine del mondo ci sarà, è già iniziata e, se non sarà, come spero, l'estinzione dell'umanità, corrisponderà alla fine del mondo come lo conosciamo noi: un posto tutto sommato sicuro e complesso in cui è possibile affogare con la nostra inedia e demandare la maggior parte di mansioni ad altri, pieno di certezze ma anche di isolamenti. Possiamo già prepararci a dire addio a questo tipo di mondo.
Così concludo e mi faccio l'ultima domanda, a cui non c'è ancora risposta:
tutto questo sarà davvero un male?

martedì 8 novembre 2011

Quelli che restano

Ci siamo vicini. Il Duce sta per andarsene, a meno che non decida per un colpo di stato. La faccia si sta scollando, i pezzi non tengono più, le cuciture si arricciano e nemmeno il re riesce a nascondere bene di essere nudo.

Un vecchio detto ricorda di stare attenti a quello che si desidera. Già, ho desiderato tanto che se ne andasse, dicendo che sarei uscita a festeggiare in giro nuda con una bottiglia di champagne (tra l'altro sono pure astemia), e la cosa succederà in una contingenza socio-economica che peggio di così non si può. C'è poco da festeggiare, dunque. Non c'è tanto da stare allegri, soprattutto pensando a quelli che restano e potrebbero sostituirlo. Nel caso di elezioni e di una vittoria della sinistra cosa resterebbe?

vediamo...Di Pietro è fuori concorso, quindi ci restano:
D'Alema? Sa così tanto di vecchio e sporcamente invischiato che non va nemmeno contemplato. Ecco una sua affermazione:
"La sinistra di per sé è un male. Soltanto l'esistenza della destra rende questo male sopportabile"



Bersani? Nonostante sia l'attuale leader del pd, non m'ispira la minima fiducia. Parla così tanto politichese che ogni tanto si ha l'impressione che voglia solo ascoltare la propria voce. E poi ci sono altre affermazioni di D'Alema, che dovrebbero far pensare:

"Bersani è un uomo di governo capace ed è sempre stato fuori dai conflitti personali all'interno del centrosinistra. Lui è di gran lunga la persona più adatta a guidarci in questa fase di ricostruzione del partito".

Ci sarebbe l'antagonista di Bersani, il "giovane" (solo per l'anagrafe) Renzi:



ma, nonostante io adori l'accento toscano, non posso negare la viscerale antipatia che costui mi suscita, oltre il fatto che quello che dice non mi convince e non mi piace granchè, essendo io molto più a sinistra dell'attuale cosiddetta sinistra. Ha studiato anche lui così bene il politichese che è più simile a Bersani di quanto non voglia sembrare.
Allora? Chi ci rimane? Il buon Vendola:per la verità è l'unico che predichi più o meno quello che penso.
Mi preoccupa solo una cosa:
le sue orecchie. Sono grandi, molto grandi. Così grandi che mi ricordano quelle di un certo tizio che ha fatto la disgrazia dell'Italia:

lunedì 7 novembre 2011

Buchi tra le nuvole


Prima o poi bisogna pur riprendere a vivere. Togliersi il pigiama, chiudere l'ombrello e, infilati un paio di stivali, uscire. Così si nota che sul fiume in piena ci sono anatre che fanno tuffi e planate, che la mareggiata è uno spettacolo elettrizzante e che chiudersi in casa con un'amica a bere tè e mangiare torta alle mele, scambiandosi qualche abbraccio e parlando per quattro ore senza accorgersi del passare del tempo, sono poesie con cui altrimenti non si avrebbe avuto a che fare.

Si guarda in su e ci si accorge che, in fondo, il cielo non è poi così nero nonostante i lampi e si intravede qualche apertura tra le nuvole, che lascia passare un po' di luce. Sopra le nuvole c'è sempre il sole: bastano un pizzico di fiducia e un po' di pazienza.

sabato 5 novembre 2011

Acqua


Prepararsi come alla guerra. Pensare a cosa portare, se ce ne sarà bisogno. Mettere la macchina più lontano possibile dall'argine. Sentirsi pervasi da un fremito, un misto tra paura e iperattività. Asciugare di continuo il muro umido. Passare la giornata in casa ma non riuscire a rilassarsi neanche con una partita di Scarabeo, nè indignarsi davanti al telegiornale. Bisogna tener viva l'attenzione, nel caso servisse un'azione repentina.
Avere paura del buio della sera, perchè le luci della strada sono fulminate e il fiume non si vede: si sente solo il suo boato, coperto ogni tanto solo dal rumore degli scrosci di pioggia sulla tettoia.
Per chi ha paura dell'acqua, la notte è un incubo.

mercoledì 2 novembre 2011

blog successivo

Mi piace scoprire bloggers interessanti sul web. Il modo più comodo è cliccare su "blog successivo", collegamento posto in cima alla pagina principale.

Ma perchè, mi chiedo, perchè i blog successivi al mio sono sempre di stampo cattolico/ecumenico??

Di piselli, fragole e castagne


Rieccomi a meditare sulla crisi. La questione è: devo prendermi i soldi che ho in banca e metterli sotto il materasso adesso, perchè poi sarà troppo tardi? Reinvestire il valore della casa in oro? Qui non c'è tanto da scherzare, e la nostra sorte continua ad essere in mano a ipocriti e fannulloni.

Nel frattempo, ho iniziato a fare l'orto. Finalmente, dopo due anni di lotte contro sterpi e spazzatura, ho seminato i piselli e iniziato a fare una staccionata con i vecchi tronchi trovati nel terreno. Dovrò cambiare il profilo del blog.
Il mio modo di reagire alla crisi è zappare, insomma, e meditare tra un seme e l'altro se emigrare o restare e produrre da me quello che mangerò nei prossimi cinque- dieci anni.
Ieri abbiamo fatto una passeggiata nel bosco e ho preso una ventina di piante di fragole, così abbiamo la frutta garantita per un mese in primavera. M. ha raccolto una cinquantina di castagne, di cui 10 circa non bacate o marce. Ottimo per un aperitivo frugale.

Non di soli piselli vive l'uomo, e neanche la donna. Ma magari tra quelli del raccolto ce ne sarà uno che, seminato in piena carestia, dia origine a una bella pianta come quella di Jack e il fagiolo magico, e si riesca ad emigrare in un batter d'occhio nel regno dei cieli.

martedì 1 novembre 2011

Gatta assassina


Ieri mattina ho osservato un piccolo miracolo sul terrazzo: un pettirosso che zampettava qua e là mangiando briciole. Forse sta per decidere di venire ad abitare nella casetta che ho piantato al muro, ho pensato. Sembrava proprio meditare su questo, prima di volare via.
Al pomeriggio sentiamo un miagolio strano: era la Pippi, che si è presentata da noi con in bocca il suo tributo del giorno...il nostro pettirosso, morto di crepacuore.

Ogni tanto la odio, la Pippi.

venerdì 28 ottobre 2011

Il tempo delle coccinelle


Come ogni anno, qui è arrivato il momento in cui le coccinelle migrano. In cui trovo sempre tra le pieghe dei panni stesi qualcuno di questi ospiti rossi, il muro a nord della casa si ricopre e se ne trovano qua e là anche per la casa.
Succede quando comincia a far freddo, ma il tempo concede ancora calde giornate di sole; come le cimici, cercano un riparo e tentano di infilarsi in casa. Qualcuno sopravvive fino a inverno inoltrato tra le mura domestiche, ma la maggior parte si volatilizzano, semplicemente.
Il tempo delle coccinelle dura poco, una settimana al massimo. E' il momento in cui si può avere fiducia nella fortuna e in cui si può credere nei miracoli.
E, inspiegabilmente, di solito funziona.

mercoledì 26 ottobre 2011

Al riparo


Quello che è successo nel levante ligure non può non toccarmi da vicino. Un po' è la solita storia per cui finchè la tragedia non ci viene a sfiorare non la vediamo nemmeno, ma in realtà in questo caso è il concretizzarsi di tutte le mie paure. Abitiamo vicino a un fiume, è una zona piovosa e umida e abbiamo diversi problemi di infiltrazione. Solo dopo essere venuti a stare qui abbiamo scoperto che, una quindicina di anni fa, il fiume è esondato e ha trascinato con sè le macchine parcheggiate lungo la strada, in alcuni casi portandole fino al mare, a cinque chilometri da qui e, in altri, sul terrazzo della trattoria in piazza. Capisco cosa voglia dire immaginare muri d'acqua per strada, onde dentro casa. Immagino solo cosa significhi perdere la casa, perdere la macchina, perdere cose, oggetti, ricordi. Restare senza niente, senza quello che contribuisce a darci un'identità, a dire chi siamo.

Non sapevo cosa volesse dire aver paura della forza smisurata della natura, da bambina; mi sentivo al riparo, nel mezzo del mio appartamento dove vivevo con i miei genitori, nel mezzo di un grande palazzo, nel mezzo di una grande città. Tuttavia ho scelto di vivere in campagna, perchè andare a vivere in un appartamento, da adulta, mi faceva sentire in prigione. Ora, ogni volta che piove a lungo, il mio sguardo va dritto al fiume. Da qualche parte sento che succederà di nuovo, e cerco di essere pronta. Certo, qualche volta vorrei davvero tornare a vivere in un appartamento. Quelle tende di muri e gente fanno sentire protetti, qualche volta.

Ma quando siamo veramente al sicuro? Una città è davvero sicura? Non arrivano anche lì i terremoti, le bombe, gli incidenti, i nubifragi? Non arrivano lì la sofferenza, la tristezza, la morte? Allora non c'è muro che tenga, anzi: se ce ne fossero meno forse sarebbe più lieve, il dolore. La verità è che abituarsi a vivere dentro le stagioni, invece di vederle nel fine settimana per una scampagnata, fa paura. Avere a che fare con la natura può dare sensazioni che vanno dall'ebbrezza al terror panico. Vivere in un piccolo borgo vicino a un fiume mi fa vivere con la consapevolezza che non siamo al sicuro del tutto, ma allo stesso tempo che, se la natura cercherà di annientarci, ci rimboccheremo le maniche, cercando l'identità che ora ci danno le cose e le case nello sguardo di amore e riconoscimento delle persone che ci sono vicine. Solo questo mi sento di dire alle persone alluvionate: finchè esistete, finchè accanto a voi c'è ancora chi c'era prima, niente vi potrà spezzare o togliervi la cosa più importante che avete sempre avuto: la vostra irripetibile identità.

martedì 25 ottobre 2011

Come non detto


Pioggia e pioggia, soffitto bagnato e fragore da Rio delle Amazzoni in camera da letto.
Voglio un appartamento, voglio essere lontana da un tetto, dall'acqua e dal vento.
Se non è possibile, voglio almeno scambiare la finestra di legno della camera con una super-ermetica-antirumore.

lunedì 24 ottobre 2011

Fine ottobre (senza "cose")


Finalmente eccomi di nuovo al computer. In forno una torta di riso e zucchini, la stufa accesa e, fuori, nuvole basse che annunciano un peggioramento. Mi sono goduta fino in fondo questo prolungamento d'estate e l'assenza di piogge, anche se ho sentito più voci che annunciano un autunno piovoso come quello in cui c'è stata l'alluvione del '70. Così sabato M. è salito sul tetto facendomi vedere i sorci verdi per la paura e, tra le mie direttive e urli, ha spalmato guaina liquida qua e là sulle tegole e sugli interstizi. Con questo, speriamo che la veranda e la dispensa sul terrazzo reggano a quattro mesi di acqua. Sono passata dai sandali alle calze di lana di botto e mi sento i piedi costretti nelle scarpe. La sera, da un paio di settimane, sul divano si sta di nuovo con la coperta di lana. Abbiamo retto fino all'altro ieri senza riscaldamento sperando che tornasse il caldo, ma quando il termometro dentro casa è arrivato a 16 gradi e mezzo abbiamo deciso di accendere. Perlomeno adesso siamo temprati.

Così è arrivato, questo autunno. Non ci tenevo granchè; il cielo grigio fa un po' di tristezza e mi mancano le giornate tiepide di sole, le api, le albicocche, le pesche, i gelati. Non mi piacciono i frutti d'autunno. Non mi rallegra il pensiero del rumore assordante della pioggia, i vestiti bagnati, i risvegli intirizziti, il ghiaccio sul parabrezza e nemmeno il rumore del fiume in piena, che dorme ormai da sette mesi. Tuttavia, come in tutte le cose, c'è un però. Sono le caldarroste, i colori nuovi delle foglie, le passeggiate con indosso poncho e maglioni, nuvole di vapore dalla bocca, sagre di paese, gite con gli amici, la Pippi sulla pancia a ronfare, i tè del pomeriggio e prima di dormire, per scaldarsi. E poi c'è M., che in questa stagione è più spesso a casa, e le mie sere sul divano arancione sono quasi sempre in compagnia dei suoi piedi e delle sue braccia, pronte a rendere più lieve le stagioni più buie.

mercoledì 21 settembre 2011

treni e piedi

Stamattina sono stata abbordata sul treno delle 7.44.
Mi sono accomodata in una carrozza semi-vuota in compagnia del mio libro. Ed ecco che, un paio di fermate dopo, un ragazzo sulla trentina si siede proprio di fianco a me, con un sacchetto in mano. Tira fuori un paio di ciabatte di gomma sporche e se le rimira un po', dopodichè le rimette dentro.
Ed ecco che comincia l'approccio. Si alternano domande normali ("fa tutte le fermate?") ad affermazioni lusinghiere ("che begli occhi che hai") a domande inquietanti ("vedo che porti le unghie lunghe. Ma secondo te sono meglio le unghie lunghe o corte in un uomo?"). Insiste nonostante io ogni tanto lo ignori palesemente e continui a leggere.
Ultimamente posso annoverare nei tentativi di approccio a me rivolti un vecchio in ciabatte alla fermata dell'autobus e questo tipo lievemente disturbato. Non è granchè, ma forse sarà peggio quando non mi guarderà più nessuno.
Anche quando scegli e sei scelto da un compagno ogni tanto hai bisogno di qualche pillola di autostima, che non debba necessariamente venire da lui. Anche perchè, ho scoperto oggi, a M. non piace il secondo dito dei mie piedi, leggermente più lungo dell'alluce. Ma come?! Con tutti i complessi che avevo da ragazzina, se c'era una cosa che ho sempre amato di me sono i piedi: lunghi, affusolati, con una dose stranamente massiccia di melanina e quel secondo dito fatto come la Venere di Botticelli! Anche ora, nonostante varie fratture a dita e caviglie continuano a piacermi moltissimo.
La cosa non ha minato, ovviamente, la mia autostima.
Credo però che mi cercherò un feticista dei piedi sul treno, la prossima volta.
Quello non dovrei faticare a trovarlo...


lunedì 19 settembre 2011

Cose di settembre

Un carro pieno d'uva in piazza.
Folle e silenzi.
Amari ritorni.
Tre treni, un libro.
Olive bacate.
Qualche mattina fredda.
L'ultimo bagno.
Un vaso pieno di peperoncini rossi.

martedì 13 settembre 2011

il controllo


Sono una delle persone più brave che conosca ad avere il controllo della situazione.
Gestisco più stimoli contemporaneamente, parlo al telefono mentre faccio da mangiare e intanto guardo il tg e magari impreco per le notizie del giorno. Segno sulla lavagnetta in casa quello che manca nel momento in cui finisce, mi segno tutto sul calendario e mi ricordo tutto quello che c'è da fare sia a casa che al lavoro. In classe riesco a spiegare mentre compilo il registro e nel frattempo riesco a scovare con sguardo d'aquila quelli che parlano o copiano nei banchi in fondo.
Programmo le lezioni la domenica per tutta la settimana e raramente vado al supermercato senza la lista della spesa.Sono estremamente previdente e faccio i bagagli per un viaggio una settimana prima della partenza. Sono brava ed efficiente senza strafare. Spesso mi avanza un sacco di tempo libero che gestisco autonomamente e ciò non è malaccio.

La mia capacità gestionale non finisce qui. Sono anche campionessa del controllo delle emozioni.
Quando, da ragazzina, un tipo strafatto ha fermato me e i miei amici in un parco minacciandoci di riempirci di botte io l'ho redarguito freddamente senza battere ciglio. Ho riso in faccia a un ex fidanzato quando, dopo un anno dalla separazione, mi ha confessato di avermi tradito. La mia migliore amica mi ha visto piangere per la prima volta dopo quasi trent'anni di vita e amicizia. Ho gestito con diplomazia i litigi dei mie genitori per tutta l'infanzia e a vent'anni, davanti alla morte di mio nonno, crollato per un infarto davanti ai miei occhi, non ho versato una lacrima in pubblico, pensando solo a rasserenare mia nonna.

Il risultato di questo fantastico autocontrollo è che se, malauguratamente, si crea una crepa nella bolla, si liberano d'improvviso delle autentiche cateratte e il contenuto si riversa prepotentemente su tutto quello che c'è intorno. E' così che ho pianto solo dopo il funerale della mia bisnonna, in un momento in cui non c'era nulla da piangere; che ho pianto più volte di felicità arrivando in posti incantevoli e che, ancora adesso, mi apro in un pianto liberatorio quando mi lascio andare veramente con M.
Lasciarsi andare è meraviglioso, ma appare pericoloso per chi sa come trattenere ma non tirare il freno dopo che qualcosa è già uscito. Forse è il carattere, forse sono il vissuto e la storia personale, ma quel che so è che nei periodi in cui mi sento piagnucolosa e mi commuovo di niente qualcosa dentro di me dice che è tutto ok: sono solo le lacrime che non ho versato per anni.

sabato 10 settembre 2011

Ne valeva la pena


Serata con le mie due amiche del cuore, ieri. Un aperitivo al caffè degli specchi, un giro in centro e una pizza. Tante chiacchiere. Discorsi seri, profondi, discorsi osceni e stupidi. Un sacco di risate e qualche figuraccia con gli estranei.
Sospiri di serenità e piacevole sollievo: dalla vita di tutti i giorni, dai pensieri sempre dietro l'angolo. Quattro ore di totale sintonia.
Poi a casa, di nuovo lontane.
Una giornata con uno spazio per queste cose è sacrosanta e dovrebbe essere un diritto almeno settimanale per tutti.

giovedì 8 settembre 2011

cose che non bastano più o non servono per niente o pure peggio


fare sciopero, avere il posto fisso statale, abitare vicino a un ospedale, riciclare, essere gentili, avere una laurea o due, la patente, parlare due lingue, fare la dieta, avere una o più assicurazioni, dormire otto ore al giorno.

Mettersi in politica o emigrare?
O si tenta di cambiare le cose da dentro - con possibilità di successo pari a zero - o si scappa dall'Italia. Ogni via di mezzo è pari a vegetare.

sabato 27 agosto 2011

Cose di agosto


41 gradi sul terrazzo.
Una falena sulla tenda.
Ombra, qualche volta.
Lunghe nuotate.
Una nuova amica.

martedì 16 agosto 2011

Briciole d'Irlanda

tè al latte e zuppe con pane alla soda
ottima musica
verdi passeggiate
palazzi da sogno

fragole nel parco


un poncho nuovo




venerdì 22 luglio 2011

Cose di (fine) luglio


Nuvole grigie e temporali.
Finestre chiuse.
Un fiore di gelsomino in testa.
Persiane dipinte di fresco.
Sette lumache sul terrazzo.
Piante di amaranto in giardino.
Ospiti per la notte.

sabato 16 luglio 2011

Il pendalocco e altre disgrazie

Quando l'ho conosciuto, M. aveva 24 anni. Io ne avevo 30 e vestivo all'incirca come adesso, un incrocio tra il casual-etnico, assolutamente no-logo. Lui era sullo sportivo ma non elegante: al nostro primo appuntamento aveva un giubbotto azzurro e una maglietta verde comprata in canada con un pollo disegnato sopra. Jeans, polacchine di camoscio, una gran quantità di magliette e scarpe strambe riempivano i suoi armadi e per me lui era quello e sarebbe rimasto così, per quel che immaginavo.
Quello che l'ha sempre contraddistinto, però, è stata la sua mania per i cambiamenti; le classiche "scimmie" che ti prendono e poi ti lasciano per altre altrettanto prorompenti. Succede a tutti, ma a lui succede di più, con più violenza e velocità. Ammiro la sua capacità di cambiare e adattarsi ai cambiamenti con grande facilità, ma certo è una facoltà che destabilizza chi gli sta intorno.
Avrei dovuto cominciare a preoccuparmi seriamente quando, quest'inverno, lo vedevo leggere con intensa passione un blog di uno squinternato che metteva foto di vecchi vestiti eleganti degli anni cinquanta, ma non ci ho dato il peso che la questione meritava.
Così, tra le varie fissazioni più o meno transitorie che ho dovuto sopportare e a cui ho dovuto, mio malgrado, adattarmi(volvo vecchie, caffettiere e caffè napoletani, camicie a quadri, musica afro occhiali spessi da nerd), ecco che arriva la fase Philippe Daverio. Chi è? Eccolo:
E' quel signore che fa programmi in cui riscopre o mostra bellezze architettoniche e artistiche d'Italia o d'Europa parlando con una marcata "r" moscia e camminando con fare circospetto per i luoghi che esplora. Come vesta, lo si intuisce: panciotto, papillon e giacche, con mocassini vecchio stile e, a mio personalissimo avviso, orripilanti.

Bene (si fa per dire), Daverio è diventato l'archetipo d'immagine di M., il suo ispiratore nel look, e da un po' di tempo a questa parte non fa che comprarsi cravatte fatte all'uncinetto, pantaloni eleganti, camicie a tutt'andare e persino un paio di mocassini. Gli ci manca il papillon e un gilet e siamo a posto.
Ora, io detesto i mocassini; li odio in tutti i loro aspetti, sia da uomo che da donna. L'unico momento in cui li ho avuti è stata una fase molto confusa e lontana della mia vita e li ho messi solo per andare a un matrimonio di ricconi (che non ho mai più visto, tra l'altro).

Qualche settimana fa ho sorpreso M. a guardare su internet la foto di un paio di mocassini ancora più tremendi, con un pendalocco. Con un pendalocco!! Povera me.
L'ho subito convinto che non aveva affatto bisogno di un paio di scarpe come quelle, l'ho minacciato di cambiare la serratura di casa se si fosse presentato con un paio di quelli e infine gli ho spento il pc.
Ma lo conosco abbastanza da sapere che quando vuole una cosa se la prende e così... questa mattina mi ha sfilato nudo, davanti al letto, con i suoi orrendi pendalocchi.

A questo punto, mi tocca tenermelo così. Bella coppia, la nostra: io con sandali, collane e pantaloni all'indiana e lui in mocassini col pendalocco e camicia ex-elegante.
Comunque, ieri gli ho detto che anche io mi sono trovata un archetipo di eleganza: rita Levi Montalcini.
Da domani, via ai capelli cotonati, alle camicie accollate con cameo e maniche con lo sbuffo. Finalmente sarò una moglie degna anche nell'aspetto.
Ah, che bella la moda dei primi del Novecento!

giovedì 14 luglio 2011

Ipocrisie


Cos'è il Parlamento?
Il Parlamento è un teatrino popolato da individui che fanno i propri interessi o, perlomento, evitano che si prendano decisioni che vanno contro i propri interessi.
E dire che a lezione di convivenza civile ho sempre detto che ci vanno i rappresentanti dei cittadini.

martedì 5 luglio 2011

effetti collaterali


Volente o nolente, da quando mi sono sposata le persone della famiglia acquisita, nonostante le conosca da più di sette anni, hanno assunto nuovi nomi.
Per esempio, ho una cognata e un cognato, e fin qui va bene. Delle nipoti, e va benissimo.

Ho un marito, e non ci ho ancora fatto l'abitudine; a parte il fatto che ciò mi toglie dall'impiccio di dire "compagno" a chi non capisce l'età moderna, mi sembra di essere tornata a quando da bambina giocavo alle signore con la mia migliore amica, barcollanti e con indosso i vestiti di mia madre. Non parliamo di quando mi sento chiamare signora.

Poi, come da tradizione, ho acquistato una suocera, S.
Stasera mia suocera è passata da casa nostra con mio suocero per darmi dei documenti per l'adozione. M. era fuori a suonare.
Come da copione, entra in casa con una mezza smorfia. E pensare che quando ha telefonato per dire che stava arrivando ho fatto magie per mettere in ordine e fare pulizia. Quando le chiedo, per sdrammatizzare: -ti piace l'odore di marocco che c'è in ingresso?- Mi risponde che c'è puzza di sporco. Poi si guarda intorno con aria schifata e comincia a dire che il mangiare del gatto non dovrebbe stare in cucina, e che loro la sabbietta la tengono nel sottoscala. Il tutto è condito da una sua certa rigidità (e lo capisco che vorrebbe dire altro, lei continua a chiedersi come sia possibile che ci piaccia vivere in modo così diverso, così scomodo e disordinato) e
da un mio senso di disagio. Poi, quando mio suocero mi dà qualche consiglio su come potare la melanzana, lei osserva: -certo, dirai che siamo venuti qua a rompere le scatole.- Io le rispondo di non preoccuparsi, che anche i miei fanno così, ma in realtà è vero a metà: lo fa solo mia madre, e io e lei abbiamo un rapporto di iroso vaffanculismo reciproco.
Mia suocera non ha peli sulla lingua, neanche uno. M. è come lei, niente li trattiene dal dire qualche viperata che passa loro in mente.
Molti lati buoni, però, ce li ha: non si impiccia mai, lascia gli spazi dovuti a figlio e nuora, mi vuole bene, è di mentalità aperta e, soprattutto, viene malvolentieri a casa nostra.



sabato 2 luglio 2011

Cose di luglio


Cicale.
Manovre economiche.
Granite fatte in casa.
Lavori in cantiere.
Una melanzana sul terrazzo.
Mosche moleste.
Tè alla menta.
Lunghe dormite sul divano arancione.

giovedì 30 giugno 2011

Ce l'abbiamo nel....la manovra


Sono sbigottita. E' appena passata in un relativo silenzio una manovra fiscale che penalizza nuovamente statali e persone di ceto medio-basso, come se non fossero già stati penalizzati. Invece di ridurre gli stipendi dei parlamentari e iper-tassare i beni di lusso sono di nuovo i comuni cittadini a fare da cerotto fiscale per il paese. La scusa degli sprechi non funziona più ma nessuno ha detto niente. Io non avrò di nuovo, ancora, alcuno scatto di anzianità e anche M. avrà dei problemi, visto che lavora con i comuni.
Il fatto che mi sconvolge non è solo uno, in effetti.
Sono arrabbiata, perchè nonostante una chiara perdita di consenso il governo è riuscito a svicolare e fare quello che si era proposto. Piena estate, scuole chiuse e gente in vacanza.
Sono incredula, perchè non ci sono state reazioni nell'opposizione degne di nota. Bersani ha solo pensato di dichiarare che quando andranno loro al governo non potranno farci niente.
Sono incredula anche perchè chi c'è, come me, non ha reagito. Niente minacce sindacali, niente scioperi prima del varo o manifestazioni. Ma cos'è successo?Può essere sola reponsabilità del bavaglio ai mezzi di informazione?
Che schifo.

Oggi vado in posta a pagare una bolletta-furto del telefono alla telecom (dove abitiamo non esiste altra possibilità). A fine transazione, l'impiegata dello sportello mi chiede, con voce flautata, se voglio un gratta e vinci. No, grazie, rispondo io. Non contenta, me lo richiede e io rispondo di nuovo no senza grazie. Faccio per andarmene e riattacca: cosa ne pensa di un'assicurazione sulla vita, salute e casa?
Comincio a sentirmi molestata. Le rispondo, un po' risentita ma con l'ultimo briciolo di educazione che mi rimane: no, grazie, siamo a posto con le assicurazioni.
Lei ci resta male e apre bocca per ribattere, ma io me ne vado senza sentire cos'ha da dire.
Il mondo gira a rovescio da un po'.
Qualcuno può invertire la rotta?

domenica 29 maggio 2011

Maestre


Da quando, anni fa, qualcuno mi ha fatto notare che il termine"maestro" è molto più profondo e totale di "insegnante", porto con orgoglio il nome del mio mestiere. Bisogna precisare però che c'è maestro e maestro (o, meglio, maestra, vista la carenza di uomini che si dedicano all'età scolare)...

C'è la maestra di una volta. Le scuole ne sono piene. Molte sono vicine alla pensione o ne hanno già superato l'età, chiedendo di andarci qualche anno più tardi. Piuttosto tettute, vestono in modo vario, perlopiù tra l'elegante e il discreto, usano spesso la gonna al ginocchio con le calze coprenti color carne e hanno la convinzione che ormai le cose siano allo sfascio. Sono molto autoritarie ma anche autorevoli: quando parlano loro, i bambini stanno tutti zitti e non si capisce come sia possibile. Hanno un'assoluta reticenza all'innovazione, al lavoro a gruppi ed alle tecnologie.

C'è la maestra innovativa/iperattiva. Generalmente di sinistra, prende sempre la parola ai collegi docenti, partecipa a tutte le assemblee sindacali e, se fa sciopero, va in manifestazione ed è in prima fila con lo striscione fatto dai bambini. Parla molto, forse troppo, la sua parola preferita è interagire. Ama i vestiti a strati, svolazzanti, e indossa grosse collane variopinte. Porta il più possibile i suoi alunni a spettacoli teatrali, mostre, laboratori, atelier e, sebbene preferisca lavorare in team, talvolta lo soffoca con la sua esuberanza. Sa tutto di cooperative learning, tic, clil e chi più ne ha più ne metta. Non bisogna stupirsi se, nel turbine di stimoli che vengono loro proposti, i suoi allievi non sappiano che cos'è un triangolo.

C'è poi la maestra depressa. Più che una categoria, è uno stato in cui qualche volta, a qualcuna, capita di piombare. Veste in modo dimesso e due giorni su tre ha i capelli sporchi. Ha una voce sottile e alterna momenti in cui strilla ad altri in cui si fa insultare dai bambini e piange fuori o dentro la classe. Firma le circolari senza leggerle e si mette spesso in malattia. Se la si incontra con gli occhi fuori dalle orbite è perchè è incappata in un problema serio con qualche genitore o il dirigente e non sa come cavarsela. Fa elmi tremendi a chi incontra e per questo molti la evitano. I suoi alunni saltano parti di programma mastodontiche e questo suscita l'ira di genitrici attente.

C'è la maestra scosciata. Come vesta, lo dice il suo appellativo: accompagna minigonne e perizomi in vista a bocconate di rossetto ciliegia e tacchi importabili ed ha i capelli lunghi e sciolti anche a cinquant'anni. Sembra amare molto i bambini ma in realtà ama essere amata. Si ferma spesso a parlare con i papà all'uscita di scuola e, quando va in bagno, porta con sè la trousse con spazzola e trucchi. Con lei si impara abbastanza, ma si diventa bambini-specchi in cui lei si rimira per cinque anni.

C'è la maestra che odia i bambini. Ce ne sono tante, tantissime negli istituti scolastici. Sempre incarognita all'interno della scuola, insospettabile fuori, tratta male tutti i suoi alunni disprezzandoli con epiteti offensivi e mandandoli continuamente fuori dalla porta. Non dà sorrisi nè amore e scarseggia di umanità. Non ha bambini e non ne vuole avere. Giovane o vecchia, vista per la strada non si direbbe essere così acida. Di fronte ad eventuali proteste dei genitori, il dirigente la copre suo malgrado. Il fatto è che qualche mamma ama il fatto che il proprio figlio abbia un'insegnante "dura".


C'è la maestra mammona. Piuttosto corpulenta, ha voce infantile e ama moltissimo i suoi alunni. Li abbraccia, li bacia, detta loro poesie su api e fiorellini e adora la morale delle favole. Ha spesso una vocina sottile che la fa scambiare per un eunuco. Non è un granchè quanto a metodo e scelta dei contenuti da insegnare e i suoi alunni spesso diventano cattivi da grandi per l'eccesso di miele. Di solito è un'ex-maestra della scuola dell'infanzia esportata alle elementari. Se incontra un caso davvero difficile, per esempio un bambino psicotico, si trasforma in maestra depressa.



Ovviamente queste categorie, nonostante abbia preso spunto da persone in carne ed ossa, non sono mai pure e ce ne sono di altre, più peculiari e sorprendenti. Ognuna di noi ha in mente un archetipo di maestra che vorrebbe essere. Nel mio c'è molto dell'iperattiva, un pizzico di mammona, un pochino di quella di una volta.
Da evitare come la peste - soprattutto per chi le incontra - quelle che hanno anche un solo pizzico di maestra che odia i bambini.

Per ricordare Luciano

La cosa migliore che possa fare, ora, è riportare uno dei suoi tanti vivi e intelligentissimi post, e portare dentro almeno qualcosa di suo, come una preziosa eredità:

La cosa più bella del mondo (di Luciano Comida)

Spesso, negli incontri con i ragazzi nelle scuole o nelle biblioteche, mi chiedono:
cosa ti piace più di tutto?
Allora racconto: è la cosa che sto facendo, nel momento in cui la faccio.
Quando leggo un romanzo che mi appassiona non c'è nulla di più bello,
ma quando bacio mia moglie non c'è niente di più meraviglioso
e quando gioco con il cane Charlie che risponde facendo le fusa nulla è più tenero, quando mangio una pesca croccante niente è più dolce,
quando sono sotto il palco a un concerto rock,
quando mia figlia mi abbraccia in pubblico,
quando mi raccontano qualcosa di me che avevo dimenticato,
quando sto scrivendo un libro,
quando faccio felice qualcuno,
quando cambio idea,
quando vedo un film che mi piace,
quando scopro un musicista nuovo,
quando nella libreria dell'usato trovo un libro cercato da anni,
quando conosco una persona interessante,
quando sono utile a qualcuno,
quando di sera sto serenamente con mia moglie,
quando faccio meditazione,
quando ricevo una lettera,
quando mi raccontano qualcosa di divertente,
quando inizio a leggere un libro nuovo,
quando la mia squadra segna un gol,
quando il piatto che ho cucinato mi viene bene,
quando parto per un viaggio,
quando torno a casa,
quando mi fanno un regalo inaspettato,
quando una crisi emicranica mi passa,
quando...
...ognuno di questi "quando" è la cosa che mi piace di più al mondo.


Ciao, Luciano.

lunedì 16 maggio 2011

cose di Sicilia


Spiagge, deserte.
Mari di papaveri.
Cannoli, granite al pistacchio, cous cous e mandorle.
Strade di pietra scivolose.
Il vento.
Acqua cristallina.
Cani per le strade.
Limoni e fiori d'arancio.

sabato 7 maggio 2011

Svolte



La crisalide sulla porta di casa si è schiusa, forse ieri, forse stanotte. L'ho trovata ancora lì, ma disabitata.
Domani mi sposo con M.
Non ne avevamo intenzione in realtà, stavamo benissimo così, ma vogliamo adottare un bambino e per farlo bisogna essere sposati.
Così, nel giro di poco più di un mese, ci siamo - poco - preparati per farlo nel modo più silenzioso ed anticonvenzionale possibile: pochissime persone, anelli che non sembrano fedi, un non-vestito da matrimonio, rosso e grigio, niente addio al nubilato o celibato, niente fiori, nessuna lista nozze o fotografi, niente sposi o scritte sulla torta, ricevimento o ristorante(mangiamo qualcosa nel giardino dei suoceri). I capelli li ho tagliati io ad entrambi.
Domattina mi farò da sola un mazzo di rose e margherite prese dal giardino e poi le regalerò alla mia unica amica che non è sposata.
Subito dopo mangiato partiamo per una settimana in
Sicilia con un bagaglio a mano ridottissimo. Poi M. ha dei concerti e io la gita coi bambini e lo spettacolo da preparare.
Insomma, tutto normale, tranquillo, un po' in sordina. Un evento da assimilare al quotidiano.
Eppure, qualcosa comincia a fremere. Mentre M. prepara i bagagli, mi dice che comincia a venirgli l'ansia; mentre raccolgo le pratoline(che, noto, hanno un odore simile alla pipì, credo opterò per un fiore kitsch di plastica) e provo a fissarle in testa con delle forcine, comincio ad avere un vago pizzicore alla ghiandola pineale. O forse è il cervelletto.
Detesto essere al centro dell'attenzione, non l'avrei detto a nessuno, nemmeno ai miei, ma la notizia si è propagata come un'onda anomala.
Non so come sarà sposarsi, ma ho come il sentore che non mi sarà così indifferente come pensavo.

venerdì 29 aprile 2011

Cose di (fine)aprile


Un tavolo di legno, due cuscini, una panchina.
Polline che cade, come neve.
Un vestito rosso.
Preparativi.
Nuove passioni all'orizzonte.
Una crisalide sulla porta di casa.

giovedì 17 marzo 2011

cose di marzo




Acqua, troppa.
I primi tiepidi soli.
Rivoluzioni e demolizioni.
Molti addii.
Il peso delle decisioni.

mercoledì 9 marzo 2011

Un altro addio

Quando, poco più di un anno fa, io e M. ci siamo trasferiti qui, in campagna, non abbiamo passato un periodo facile. Eravamo semi-accampati, senza riscaldamento in cucina, con l'ingresso che perdeva acqua dall'alto e dal basso ogni volta che pioveva. In più il vicino di sopra ci ha creato un sacco di problemi e i rovi che ricoprivano il terreno hanno presto svelato una superficie cosparsa di ferraglia.
Gli abitanti del microscopico paese in cui siamo venuti a vivere, però, con i loro modi un po' ruvidi hanno veramente fatto sentire quel calore che in città non avevamo mai percepito.
Tra di loro c'era il sosia di mio padre, Renzo, che abitava proprio dietro l'angolo e che
si è subito presentato e ci ha stretto la mano dandoci il benvenuto, dicendo di dargli del tu.
Aveva una figlia, poco più che mia coetanea, ma stranamente si parlava meglio coi "vecchi", Renzo e la moglie Silvana. Insieme ci hanno adottato, a me e M., e fin dall'inizio abbiamo capito di avere qualcuno su cui contare.
In primavera Renzo mi ha regalato dei fiori magnifici coltivati da lui; non tutti, però, altrimenti la moglie si arrabbiava.
Mi ha dato preziosi consigli su alcuni lavori da fare e mi ha raccontato cosa c'era prima di noi, quando era bambino, davanti alla nostra casa.
In autunno ha promesso che questa primavera ci avrebbe dato una mano a tagliare l'erba.
Due mesi fa ci ha fermato in piazza, raccontandoci che gli avevano trovato una macchia in un polmone. Poi, non l'abbiamo più visto.
Il tumore è esploso come una bomba e si è propagato alle ossa con la velocità della luce.

Renzo è morto stanotte.
Certo, si dirà, per il male che aveva ha sofferto fin poco, ma non posso smettere di pensare che alla sua età, 68 anni, avrebbe potuto godere della vita ancora un bel po'. Vedere crescere i nipoti, per esempio, fare due chiacchiere in piazza ogni giorno e dare un bacio alla moglie ogni sera prima di dormire.
Magari anche portarle, ogni tanto, un mazzo di fiori a cui manca qualche stelo che ha regalato alla vicina che ha l'età di sua figlia.

sabato 19 febbraio 2011

Rivelazioni e riflessi-oni


Ieri sera, a una cena pre-concerto con altri due musicisti e amici, M. ha comunicato che di recente per la prima volta gli è capitato di pensare a come sarebbe stare con una ventenne. Cosa assolutamente normale, per carità. Anzi, strano che se lo sia chiesto solo ora. Un amico ultraquarantenne e donnaiolo che si trovava a tavola con noi gli ha risposto che questo è solo l'inizio, e di fasi ne attraverserà, compresa quella in cui si chiederà come potrebbe essere stare con una sedicenne.
Ora, dando per assunto che ultimamente questa cosa è molto di moda grazie al capo del governo, mi auguro almeno che in vecchiaia M. non si dia alle minorenni(bisogna sempre vedere se se lo prendono).
Al di là di questo, così è la vita: gli uomini crescendo sono chiamati dalla carne sempre più fresca e le donne - perlomeno la sottoscritta - , pur non disdegnando la carne fresca (manco fossimo in macelleria), diventano incuriosite da uomini maturi, più saldi, di spessore ed esperienza.
Forse è perchè me lo sono trovato giovane che la penso così. Fin'ora non mi ero mai posta il problema della mia vecchiaia e del confronto con donne sue coetanee, anche perchè io non sembro così vecchia e lui non sembra così giovane, ma mi rendo conto che essere ben tirate, sode e senza mai un mal di reni non fa più parte del mio essere.
Forse non ne ha mai fatto, ora che ci penso.
Se penso alla mia infanzia, ricordo mio padre quarantenne che dice che la donna è bella a trent'anni. Lì, diceva, è nel fiore della femminilità perchè ne è consapevole e piena.
Sarà, ma appena li superi di poco, i trent'anni, cominci a guardarti allo specchio al mattino e vedere le righe - dette comunemente rughe - sotto gli occhi e non ti rimiri così spesso nello specchio che ti riflette tutta intera. Il problema non è il sentirsi cadente, visto che non mi ci sento ancora, ma continuare ad avere la testa di prima e notare che lo specchio restituisce ogni anno una faccia sempre diversa, meno aderente a quella che il cervello si aspetta.
L'importante, ha detto Esmeralda, un'artista conosciuta proprio ieri sera, è restare aderenti alla propria essenza. Così, anche se lo specchio non ci dà soddisfazione, brilleremo di luce propria, saremo belli anche da vecchi.
Io ci provo, mi impegno. Sto attaccata alla mia essenza come una cozza allo scoglio.

Ma allora perchè da una settimana al risveglio ho sempre gli occhi gonfi??