mercoledì 31 dicembre 2008

Capodanno fai-da-te


Tra non molto mi accingerò ad affrontare la mia utima cena dell'anno, che io e il mio compagno passeremo a casa, lontani dal caos e dal freddo. Non mi dispiace l'idea di trascorrerlo con gli amici, ma la scelta che abbiamo fatto quest'anno mi rasserena, e in più ho mal di pancia da stamattina.
Trattare il 31 dicembre come un giorno abbastanza speciale, ma da vivere esattamente come ci si sente, è nelle mie priorità da parecchio tempo. Ci sono stati dei fine anno, tuttavia, che ricordo con estremo piacere - o dispiacere -:

Il migliore che ricordi, entrato ormai nel mito delle mie esperienze personali, è quello che ho passato a casa della mia migliore amica, più o meno quando avevamo sei anni. Abbiamo giocato tutta la sera fino a tardi in camera sua, mentre i nostri genitori facevano i matti nella stanza a fianco.
Il peggiore è stato decisamente quello passato da ragazzina ad una festa con un freddo cane e musica da discoteca. Alienante e deprimente, da dimenticare.
Il più lungo l'ho passato in una casa, con cinque o sei amici, una decina di anni fa. Abbiamo iniziato a mangiare e giocare la mattina del trentuno e abbiamo finito la mattina del due.
Il più triste è stato cinque anni fa: ero stata lasciata dal mio fidanzato storico da pochi mesi; mi ero preparata una misera cenetta, sola, ed avevo guardato "Gangs of New York", sempre sola. Uno sfacelo, avevo toccato proprio il fondo, ma allora ho imparato a considerare il capodanno in modo più realistico.
Il più felice è stato quattro anni fa, l'anno successivo: avevo l'influenza e il mio attuale compagno, conosciuto durante quell'estate, aveva scelto di stare con me, nonostante i germi, a tenermi compagnia.

Da allora questo giorno ha smesso di essere un incubo, una fonte di ansia o una necessità di divertirsi per forza. Non ci si pensa fino all'ultimo, si fa quello che ci si sente, si mangia quello che si preferisce: io ho optato per un panettone biologico, con gocce di cioccolato -detesto canditi e uvetta- e lui si è comprato un mini-cotechino. Abbiamo le stelline da accendere a mezzanotte e lo spumante e, lungi dal sentirci soli o isolati, passeremo questa serata normale dandole un tocco speciale. A modo nostro.



Desideri


Caro Anno Nuovo,
credo sia opportuno, vedendo come vanno le cose, scriverti una letterina di richieste. L'anno che sta per finire non è stato un granchè ed è proprio il momento di avanzare - gentilmente - qualche pretesa.
Per prima cosa...

Sarò scontata, ma vorrei assistere alla fine di Berlusconi e del suo governo. Una fine catastrofica, clamorosa, che lo distrugga nell'onore e nella gloria anche agli occhi dei suoi elettori. Anche se ha già fatto i suoi danni, formulare il desiderio retroattivo che non sia mai esistito non mi soddisferebbe: deve cadere, essere sbeffeggiato, colto nel sacco in mondovisione e in maniera inequivocabile. Non sarebbero finiti i problemi dell'Italia, ma si respirerebbe almeno per un po' un'aria nuova.
In secondo luogo, vorrei che cambiasse qualcosa nella testa e nelle coscienze della gente. Chiederei di tutto il mondo, ma mi accontento della sua parte occidentale, o perlomeno degli italiani. Mi piacerebbe che si svegliassero la mattina del primo di gennaio con una nuova consapevolezza umanitaria, sociale, ecologica; che diventassero tutti migliori, attenti al benessere altrui e coscienti della possibilità, per ognuno di noi, di avere un ruolo attivo nella risoluzione dei problemi del mondo. Solo così si potrebbero mettere paletti alle guerre, risolvere le malattie, impedire a cattive leggi di andare in porto.
Infine, ti chiedo qualcosa per me, ma non sto a fare un nuovo elenco, intanto i miei desideri sono sempre gli stessi. Vedrò di riformularli in un tacito accordo, stasera.

La fine di un anno e l'inizio di uno nuovo è un'occasione simbolica per ricominciare da capo, rigenerarsi, reinventarsi, fare piazza pulita. Che quello che deve e può nascere nasca, e che quello che deve finire finisca, senza rimpianti. Ma anche che quello che ha la necessità di continuare continui, come la capacità di sperare, di sognare, di avere ideali da seguire nel concreto.
Questo è il mio augurio e la mia speranza.
Buon 2009 a tutti.




venerdì 26 dicembre 2008

Bolso Natale


Natale. Un insieme di ricordi e sensazioni. Un turbinio di avvenimenti che hanno lasciato in me sensazioni quasi impressionistiche. Volendo essere sintetici, eccone un carosello.

Mia nipote con la febbre, babbo natale è arrivato anzitempo perchè stava per mettersi a letto. Il giorno dopo anche sua nonna e suo padre avevano la febbre.
I litigi con il mio compagno: mi ha fatto aprire i regali all'ora di pranzo del 24 e non gliel'ho perdonata. In più, avevo la sindrome premestruale.
La crema al mascarpone di mia madre, la cosa meno digeribile sulla faccia della terra. Mi tornerà su fino all'anno nuovo.
Il regalo fatto da mio zio a mio cugino: Biografia di Mussolini con, a seguito, l'urlo "duce". Mio cugino è fascista. Meglio non aggiungere commenti. La cosa peggiore è che eravamo in casa di mia nonna, morta due anni fa, antifascista e partigiana.

Ho terminato la serata del 25 con degli amici a una festa reggae all'aperto piena di ragazzetti con un look punkabbestia e cani al seguito, probabilmente finti-poveri figli di papà. Non fanno più per me queste cose, e forse non hanno mai fatto per me, ma è stato molto meglio di alcune delle esperienze della giornata che era appena trascorsa.

Stamattina fa un freddo cane. Chissà, forse nevicherà. E' da quando vivo qui che sogno, la notte e il giorno, di guardare la neve dalla finestra, in una specie di sogno ricorrente che non si è ancora realizzato.
Che cada, la neve. Che copra le nefandezze e i pochi bei momenti di questo bolso natale, e che ci porti diretti all'anno nuovo.


martedì 23 dicembre 2008

Fatto

Conclusioni: lezioni, voti, levatacce, colazioni in fretta, pomeriggi impegnati, regali, spese.
Inizi: vacanze, feste, incontri coi parenti, riposo, lunghe dormite al mattino, grandi mangiate, colazione a casa, tempo per me, qualche passeggiata al mare, qualche film e un tè o due con le amiche che non partono.
Per oggi basta. Mi tolgo le scarpe e tiro giù la serranda.
Chiuso per ferie.



lunedì 22 dicembre 2008

L'età della disillusione (2)


Lo ammetto, ho esagerato.
La verità è che faccio fatica a crescere. Non è la sindrome di peter pan, ma ho dei ricordi nitidi e molto positivi dell'infanzia e staccarmene non è stato facile.
Credo sia doveroso, a questo punto, per risollevare il tono del post precedente, fare un elenco delle cose per me positive dell'età adulta.
1. Al primo posto metterei la possibilità di scegliere, in tutti i sensi.
Quand'ero bambina (fino alle medie, età in cui oggi le ragazzine sembrano adolescenti) chi si occupava di me sceglieva quasi tutto in mia vece: cibo, giochi, vestiti, vacanze. Non ho mai fatto richiesta di un piatto specifico, sotto l'albero trovavo quasi solo sorprese e fino a tredici anni alla sera trovavo sulla sedia vestiti scelti e pronti per l'indomani. Oggi non si fa più così: si danno grandi capacità di scelta ai bambini (direi troppe); il mio, però, era quasi un caso estremo.
Beh, con l'adolescenza mi sono rifatta, sostituendo, per ripicca, i vestiti a fiori sempre tendenti al giallo e al rosso che mi comprava mia madre con stracci neri da metallara. A diciassette anni ho fatto la mia prima vacanza da sola e a 20 ho iniziato a cucinarmi quello che volevo. Ma è stato con l'età adulta che ho davvero provato consapevolmente, seriamente gusto a scegliere. Ho scelto con puro godimento le stoviglie per la casa, i mobili, le coperte, le mete delle vacanze; ho scelto di diventare vegetariana, come fare l'albero di natale, come cucinare il riso, di non essere una maniaca dell'ordine e di non stirare le lenzuola. Ho scelto anche un uomo, prima che lui scegliesse me.
2. Al secondo posto metterei qualcosa che non ci si aspetterebbe: il piacere di ricrearsi, ricostruendo una famiglia, un nucleo - che sia di due o più elementi - in un altro posto e con un'altra persona rispetto alla famiglia d'origine. Nella vita adulta si creano legami a due che sono potenzialmente una ricostruzione del nido. E' probabilmente un piacere genetico per me, nato solo quando era maturo e pronto; niente mi riempie di calore come l'idea che ovunque vada sono parte di un nucleo familiare.
Vorrei dei figli, questo sì. Mai mi sarei aspettata di avere il desiderio di maternità. Trovo che una coppia che non abbia figli rischi di diventare sterile, ripiegata su se stessa. Una coppia deve essere aperta verso l'esterno: questo è il mio parere. Il desiderio di maternità, semplicemente, è nato quando ho trovato che dentro di me c'era amore sufficiente per qualcun altro.
3. Al terzo, la serenità. Quando mi guardo in giro camminando per la strada vedo orde di ragazzini vestiti in modo assurdo, ma tendenzialmente tutti uguali. Pieni di complessi e ansia di essere accettati dai loro pari, passano gran parte del loro tempo e dei pensieri a curare questo aspetto della loro vita. E' quando ci si libera dalle ansie da prestazione e apparenza sociale che si raggiunge un po' di pace. L'età adulta lo permette; basta rispettare quelle minime norme relative al buongusto e ci si può comportare e vestire come ci si sente. Ancora fino a qualche anno fa mi sentivo nel passaggio tra un'adolescente e una donna, ancora vulnerabile agli sguardi e alle osservazioni degli altri. Crescere e diventare una donna è stato guadagnare una distanza giusta da adolescenti e anziani, che permetesse, in caso di desiderio o necessità, di avvicinarsi serenamente ad entrambi.

Ognuno di questi fattori positivi ha il suo altro lato della medaglia: scelgo ma mi porto dietro un'eredità di abitudini familiari impossibili da sradicare; essere parte di una nuova famiglia limita le mie scelte e fa sì che debba sottostare a dei compromessi e la serenità è spesso guastata, perchè l'età più matura non dà a tutti il dono dell'imperturbabilità. Ma sono elementi di poco conto, paragonati a certi piaceri che solo con l'essere adulti si possono conquistare.

venerdì 19 dicembre 2008

L'età della disillusione


I trent'anni sono sempre stati per me lo scoglio immaginario per segnare il passaggio definitivo all'età adulta. E, ora che di anni ne ho trentaquattro, posso fare un bilancio di questa età, rischiando sorrisi ironici da parte di chi è arrivato parecchio più in là da tempo.

Coi trenta, per me è arrivata l'età della disillusione. Il romanticismo è finito e, benchè si sogni e si speri sempre, certi fatti sono entrati nei pensieri e nelle esperienze e le responsabilità, quello di cui si lamentavano - e che ci rammentavano - i genitori quando eravamo piccoli, si sono fatte pressanti.
Verso i trent'anni ho scoperto che i fallimenti sono possibili, che i genitori non sono eterni, che gli uomini tradiscono e che succede spesso. Ho scoperto che dovrei saper cambiare una gomma, mettere le catene da neve, ricordarmi di pagare le bollette e le assicurazioni. Che sono l'unica responsabile di me stessa e nessuno può rimediare al mio posto ai mei errori.
Che se non realizzo i miei sogni ora, potrei non riuscirci più e che è il momento di essere quello che si è e di smettere di fare finta o di stare stretti in un ruolo che non ci si confà. Babbo Natale non esiste e ogni persona è fallibile.

Da adulti, se si è fortunati si trova una situazione di vita "stabile": lavoro, casa, famiglia. Ma questa fortuna può trasformarsi in una trappola da cui potrebbe riuscire difficile uscire, se non si fanno le scelte giuste e consapevoli. L'età del condizionale è finita.
Io sono stata fortunata: il lavoro ce l'ho e mi piace, la persona con cui ho scelto di vivere - e che amo - mi ama e le mie frequentazioni con amici e parenti sono scarse ma molto positive. Sono felice, insomma.
Tutto questo però non mi risparmia dalle ansie del trentenne moderno. Potrò realizzare i miei sogni? Riuscirò a pubblicare dei libri? Troverò - e potrò permettermi - la casa che cerco
? Avrò dei figli? Quando comincerò a vedere i miei veramente vecchi? Come farò a reggere al dolore quando perderò qualche persona cara e molto vicina?
Sono lussi, lo so, queste domande. Ma occupano la maggior parte dei miei turbamenti quasi quotidiani.

A trent'anni, età in cui molte cose finiscono, ogni inizio è una benedizione.
Rughe e capelli bianchi a parte.

lunedì 15 dicembre 2008

Dal divano arancione

A dir la verità, stasera sono priva di ispirazione, ma ho mangiato troppa caffeina/teina/teobromina (ovvero té e cioccolata) per star tranquilla davanti a un buon film o a un libro, anche se sono molto stanca.
Oggi, sciopero dell'auto-informazione: non so nulla di nulla di quello che è successo nel mondo. Stamattina sono andata a scuola con un collega e non ho sentito la radio, oggi sono stata in giro per regali e sono arrivata all'ora di cena, dunque niente tv. Qualche volta fa bene, il digiuno di qualcosa. Come quando vado a lezione di yoga e devo mettere il telefono nell'armadietto: non è semplicemente spento o silenzioso, semplicemente non c'è. Fortunatamente la cosa non mi mette l'ansia (sarebbe un brutto segno di dipendenza), ma mi rasserena. Infilarlo in un buco sotto chiave e allontanarlo mi rende totalmente irraggiungibile e rende l'ora di contorcimenti ed esercizi solo ed unicamente dedicata a me stessa. Una specie di cartello "do not disturb" da albergo, solo che in questo caso è la mia psiche a non essere disturbata.

Stasera, entrando in casa, ho trovato davanti alla porta un fazzoletto di carta rossa con dentro un pezzetto di cioccolata (quella che ho mangiato stasera). Non è la prima volta, e sapevo chi era stata: la mia vicina di fronte, una signora anziana che somiglia a Lina Vertmuller.
E' sola, vedova da più di vent'anni e senza figli e il nostro padrone di casa ci ha avvertito, dandoci le chiavi, che era un po' difficile da trattare.

Quando io e il mio compagno l'abbiamo conosciuta infatti non ci ha fatto una gran buona impressione: è scorbutica, leggermente rimbambita e un po' rompiscatole. E' capitato che ci abbia suonato alla porta mentre eravamo a letto o che ci attaccasse degli elmi quando eravamo in ritardo, uscendo di casa.
Tuttavia, al terzo anno di conoscenza, la Palmina (Palma per gli inquilini) si è sciolta. Deve averci giudicati finalmente buoni o amichevoli e ha preso a lasciarci, di tanto in tanto, dei cioccolatini o degli amaretti in cambio di piccole gentilezze come cambiare una lampadina, lavare il vetro che per lei è troppo alto o, ultimamente, anche solo suonarle il campanello per chiedere come sta.
Oggi, dopo averle suonato per ringraziarla della cioccolata, si è presentata sulla porta con sciarpa e maglione: a casa non ha il riscaldamento. Così l'ho invitata da me e le ho fatto un caffè, mentre lei, in cambio, mi ha regalato i suoi ricordi.
A quelli sentiti per la decima volta ne ha mescolati altri nuovi e commoventi. Mi ha raccontato com'è morto suo marito e anche un altro amico che ha avuto dopo.

Insomma, la vecchia Palma mi ha ricordato che cosa significhi avere intorno un tessuto sociale, avere punti di riferimento, non essere soli e isolati al mondo. E sono certa che, anche se ogni volta che le suono alla porta non si ricorda il mio nome e fino a qualche mese fa non mi riconosceva se la incontravo per la strada, la nostra conoscenza sia un bene per entrambe, e non solo una sicurezza per lei. Vederla seduta sul mio divano a bere il caffè con la sciarpa a raccontare dei tempi andati mi fa ricordare, con una piacevole nostalgia, i momenti in cui, ancora adolescente, ascoltavo i miei nonni parlare della guerra e di come si erano conosciuti.

domenica 14 dicembre 2008

Pensieri sull'asse(da stiro)


Tempo pessimo, oggi.
Mi ha svegliato il ticchettio della grandine sui vetri.
Ho fatto un tentativo di saluto al sole (pratica yoga che ho imparato al corso che frequento da tre mesi) chiedendomi dove fosse mai nascosto il sole e, dopo colazione, mi sono messa a stirare.
Alla tv, sento dire che il papa ha detto che il rispetto dei diritti umani è fondamentale. Dov'è il problema? Non certo nel fatto che ha scoperto l'acqua calda, ma che la predica viene da un pulpito contraddittorio, visto che di recente si è mostrato ostile nei confronti di una serie di diritti fondamentali dell'uomo legati alla questione degli omosessuali.
Più che mai, questo mi sembra il periodo delle contraddizioni e della caduta dei punti di riferimento che, belli o brutti, giusti o sbagliati, facevano della nostra cultura quello che è. Il papa predica bene e razzola male(almeno prima predicava male e razzolava male), i comunisti non esistono più, don camillo e peppone sono un unico uomo, io dico ai bambini che la costituzione non è come una comune legge e che non si modifica e il giorno dopo berlusconi dice in tv che cambierà la costituzione. La scuola elementare viene smembrata, i fascisti sono al potere e sembrano essere diventati i buoni, i radicali diventano fascisti e gli ignoranti imperano. Per concludere, per essere qualcuno bisogna essere imbecilli o dir cretinate in tv; la de filippi sarà ricordata molto più a lungo e da più persone di Margherita Hack.

Pensieri funesti. E, a contrario di quelli che si fanno sull'altra asse, non si può tirare la catena per farli sparire.


venerdì 12 dicembre 2008

Crisi


C'è la crisi, questo è un fatto.
C'è la crisi e la gente fa lo sciopero. Però, se potessi obiettare, perchè la cgil non ha pensato di fare una manifestazione di sabato, visto che la gente si sta impoverendo? Se la scelta di farlo di venerdì è stata dettata, come sempre, da esigenze di alte adesioni, il sabato sarebbe stato altrettanto indicato. Buona parte dei precari veri, infatti, quelli messi male, non l'hanno fatto lo sciopero, perchè ci vuol tutta che lavorino. E poi non credo che avrebbero passato il sabato nella loro villa di Portofino. Lo sciopero è un lusso, perchè per scioperare bisogna lavorare.

Crisi anche a scuola. Nella mia quinta E i cervelli sono andati in tilt: colpa della pubertà e delle dinamiche di classe o, forse, di una recente scarsa attenzione da parte nostra. Così ho usato le mie ore di lezione per parlare ai bambini. Per un po' sembrava di essere in un programma della de filippi, poi i toni si sono fatti più rispettosi e seri e si sono tirati in ballo il rispetto, il perdono, l'affetto che provano gli uni nei confronti degli altri. Cose un po' demodè, ecco.
Ed i modi in cui hanno risposto mi hanno fatto sentire fiera dei miei alunni.
Non so se ha funzionato; domani, forse, ci saranno nuovi litigi e problemi. Ma era necessario. Non c'è niente di peggio che tralasciare i problemi pensando che si risolvano da soli, con la crescita. non a questa età, perlomeno.

Io ho trovato il modo di reagire alla crisi e allo stress natalizio tagliando i regali. Con le mie amiche abbiamo deciso di versare una quota ad un progetto di sostegno umanitario nel terzo mondo. Paghiamo meno di quanto avremmo speso altrimenti e ci guadagniamo in salute psicofisica.
Per gli altri regali, credo che andrò a fare un giretto in Francia. In barba a berlusconi. Così impara a dire di spendere agli italiani.





lunedì 8 dicembre 2008

Mattina di festa

Oggi è il giorno del vorrei.
Vorrei una casa in cui poter tenere sempre la porta aperta, in cui entrino ogni tanto foglie secche portate dal vento.
Vorrei svegliarmi e stirarmi davanti al sole d'inverno, nell'aria frizzante che mi pizzica il naso. Vedere stormi di storni creare onde nel cielo terso.
Sedermi ad un vecchio tavolo di legno ancora coperto di gusci di nocciole e bucce d'arancia.
Mi guardo intorno e vedo un vecchio tavolo pieno di libri, il mare alla finestra, stormi di storni e un uomo che mette in ordine la casa mentre cazzeggio al computer.
Direi che per oggi non posso lamentarmi.

sabato 6 dicembre 2008

Il fantasma del natale incombente


Di tutte le feste, il natale è quella che preferisco. Da quando non vivo più coi miei genitori, fare l'albero è un vero e proprio piacere; addobbare la casa, girare per le vie illuminate con tutte le luci colorate e il freddo pungente che mi gela la punta del naso sono un vero sollazzo.
In verità sono tutte qui le cose che mi piacciono del natale. In una parola, è l'atmosfera. Ma da qualche giorno a questa parte, da quando le vetrine si sono vestite a festa, le pubblicità si sono tinte di rosso e mia madre ha cominciato ad avere su di me un effetto ancora più ansiogeno del solito, la sera faccio fatica ad addormentarmi. Mi basta affrontare l'argomento per andare in tilt. Il solo pensiero delle cene forzate, degli incontri col parentado, dei regali mi mettono gli incubi. I regali specialmente. Da ora alla fine del mese le briciole del mio tempo libero saranno dedicate a questo, i miei soldi già in esaurimento caleranno. Ho più di una dozzina di persone a cui pensare e a cui devo fare il regalo: loro lo faranno a me e, a parte chi mi conosce da tempo, saranno perlopiù un'accozzaglia di pezzi di puro ciarpame che andrà a riempire i pochi spazi della mia già angusta casa.
Ho il dente avvelenato, ma mai come quest'anno mi sento critica e allo stesso tempo impotente. Un enorme
PERCHE'?
mi riempie la testa e la gola. Perchè fare regali a chi non se ne farebbe nemmeno al compleanno, in un giorno comandato, coi negozi strapieni e il freddo che fa venir più voglia di entrare in un bar a prendersi una bella cioccolata? Perchè spendere soldi a palate (e inutilmente) in un momento di crisi? Perchè fare regali e sperperare nel consumismo per festeggiare la venuta di Gesù, quando Gesù è nato povero e non sono poi nemmeno cattolica? solo l'idea di comunicare a tutti che io non festeggerò mai più il Natale è impensabile, e adesso comunque è troppo tardi.
Ribellarsi è inutile, non serve. Ci ho provato. Lamentarsi, suggerire piuttosto un versamento umanitario, dire che non mi serve niente, consigliare, per un anno, di non farsi regali e di vivere la festa come tale ha prodotto
in chi mi ha ascoltato commenti rassegnati, occhiate storte o finta sordità.
L'anno prossimo chiederò un solo regalo: un viaggio. Partenza il 22 e ritorno il 5 gennaio.
Voglio vedere chi mi piglia, allora.

Paradossi


Tanto per riprendere l'argomento del post di ieri, ho un alunno in quinta (dieci anni ancora da compiere)che comincia ad avere i primi turbamenti sessuali. Anzi, li ha dalla terza, ma adesso non pensa ad altro. Durante un momento di pausa, l'ho visto che faceva una lista delle sue preferenze in fatto di donne e di possibili strategie per abbordarle. Era seduto vicino a me, avevo la lista proprio sotto il naso. la vuole "bionda, quasi oro" e di 26 anni (...) e la sua tattica per conoscerla è "attirarla al bar con una scusa, offrirle da bere e convincerla ad andare a letto". Io non ho detto niente, anche perchè non avrei dovuto vedere, nonostante la sua ingenuità di scrivermela vcino, e poi parleremo prossimamente di tutti questi cambiamenti che vedo e sentono a quell'età i miei alunni. Sì, perchè in quinta ora i ragazzini hanno gli ormoni che una volta avevo io alle medie, e non si può far finta di niente.
Il punto è un altro: com'è possibile che un bambino di neanche dieci anni cogiti degli approcci del genere? La risposta è facile: colpa della tv. si potrebbe dire anche delle famiglie che non filtrano i suoi messaggi, ma mi rendo conto che oggi fare da filtro al bombardamento mediatico sia impossibile, a meno che non si faccia la scelta coraggiosa, forse controcorrente o forse inutile di non avere la televisione in casa.
L'altra sera ho guardato un pezzetto del Le Iene, e ho visto un servizio in cui l'inviata di turno si è vestita come le letterine, le veline, le vallette (ora questo nome fa decisamente ridere i polli) dei maggiori programmi televisivi ed è andata per la strada a passeggiare...il risultato è stato un arresto per prostituzione, vari approcci con la richiesta "quanto vuoi" e così via. Però gli stessi costumi vengono mostrati - insieme ad un prosperoso contenuto - ogni giorno in prima serata.
E' a questo che mi riferivo, quando ho iniziato il discorso sul post di ieri.
Il paradosso, poi, è che questo mio alunno, che pensa al sesso e ne parla volentieri e che è così alto da non entrare più nel banco con le gambe, scrive la lettera a Babbo Natale e racconta teneramente come si sono innamorati i suoi genitori. Come farà, quando scoprirà che babbo Natale non esiste e che non tutte le relazioni vanno a buon fine? Cosa resterà, a parte la disillusione?
Aiutiamoli a non crescere troppo i fretta, perchè questi bambini di oggi sanno di più, ma non sanno fare di più. E soprattutto l'aspetto emotivo resta quello della loro età, e non possono gestire il bagaglio di conoscenze - e malizia - che possiede un adulto.
Non creiamo dei mostri. Spegniamo la tv, ogni tanto.

venerdì 5 dicembre 2008

Un buon maestro


Gli orrori di costume, ideologici e comportamentali di cui si sente notizia spesso e volentieri mi fanno ripiegare su pensieri legati alla mia professione. L'idea della donna data dai media, la strategia del terrore, i pregiudizi religiosi, le modalità di comunicazione basate sull'aggressione e sulla violenza, i dissidi politici sono solo pochi degli esempi che abbiamo quotidianamente davanti agli occhi.
Sono convinta che molto, se non tutto, possa essere evitato da un'educazione preventiva, ovviamente da entrambi i fronti: casa e scuola. Io, che mi occupo di educazione solo scolastica, e in particolare in quel grado di scuola in cui il pensiero e la personalità sono ancora in formazione, sto sempre a rimuginare su ogni mossa che faccio.

Mi spiego. Ho sempre pensato che l'insegnante non debba esprimere le sue opinioni personali, che non debba parlar troppo di sè nè, tantomeno, si debba mettere a modello del genere umano davanti ai suoi allievi. Saranno l'esempio e le sue azioni che daranno modo di decidere a ogni alunno se quella che lo ha accompagnato per cinque anni (se non è precario, ahimè) della sua vita è stata o meno un buon maestro.
Quando sono grandi, verso i 9 o 10 anni, capita di parlare di politica, di religione, di fatti di cronaca o idee sui massimi sistemi. Allora le domande fioccano. Anche i ragazzini poco motivati tirano fuori un interesse o delle curiosità. Tutti, poi, pendono dalle tue labbra se qualcuno ti fa una domanda che inizia col fatidico "secondo te".
Io ho sempre cercato di non comunicare le mie opinioni, ma di spiegare i fatti, dando il più possibile gli strumenti per farsi un'idea personale. Molti le hanno già, ma generalmente sono le cose che sentono dire in casa dai genitori, che magari commentano il telegiornale senza coinvolgere i figli.
L'oggettività, dunque. Questo deve dare l'insegnante. Le informazioni e gli strumenti per cercarsele da sé e, possibilmente, decodificarle.
Solo che temo che questo sia pressochè impossibile: le parole che usiamo, il nostro modo di vestirci e comportarci, le nostre scelte: molto di noi dice come la pensiamo. In fondo non è una cosa cattiva, l'importante è che non si tenti di fare proseliti. Non si tratta di nascondere, ma di lasciare che le scelte non siano frutto di condizionamento. Di esempio sì, e questo è inevitabile. Per questo un buon maestro ha il dovere morale di dire la sua quando si tratta di valori. Quando si tratta di parlare di diritti, di integrazione, di rispetto, di ricchezze date dalle differenze e di uguaglianza degli individui in quanto appartenenti al genere umano allora sì, il maestro deve parlare. Quelle sono le fondamenta senza le quali le idee crollano miseramente di fronte alla realtà dell'esistenza.

Per quanto mi riguarda, ogni giorno ci provo, ma so di fare continuamente errori. so che basta trattare un alunno con sarcasmo perchè è difficile da gestire o perchè si è in una giornata storta per ad aprire la porta alla sua scarsa autostima o alle prese in giro dei suoi compagni.
Giorno dopo giorno, però, ci provo.

Intanto, ho fatto pace con la parola "maestra": è meno adulta, nobile e dotta di "professoressa", ma mi ricorda un po' il maestro Yoda, il buffo saggio verde di Guerre Stellari.

domenica 23 novembre 2008

Le paure del cavaliere


Per chi non ha dato un voto a questo governo sono tempi duri. L'unica consolazione è osservarne l'andamento individuando le zone in cui il cavallo del cavaliere incespica o retrocede impaurito. Beh, ogni tanto succede. Si continuano a sentire affermazioni di Berlusconi che tenta di rimediare con le sue spiritosissime battute alla gaffe sull'abbronzatura di Obama. Dietro la sua spavalderia c'è una malcelata paura di averla detta grossa; avrà letto articoli di disapprovazione sui giornali di tutta Europa - e non solo - e tenta di mettere delle toppe, senza accorgersi che si dà delle mazzate sui piedi da solo, visto che il meglio sarebbe far scendere il tutto nel dimenticatoio.
Poi, leggo sul giornale di oggi che Silvio continua a sostenere che, se gli italiani non consumeranno di più, la crisi non si risolleverà. Bella mossa, scaricabarile. Così si lava le mani se le cose non andranno meglio. Altro segno che il signore comincia a vederla nera, e che non manterrà le promesse di risollevare l'economia entro il secondo semestre del prossimo anno. Dunque ha paura. Oltretutto la sua è una dichiarazione anacronistica, in un periodo in cui la coscienza ecologica si sta svegliando e crescono i tentativi di riduzione dei consumi, di autoproduzione e via dicendo. Con le famiglie già sul lastrico e quelle che ci finiranno presto per i tagli previsti, che ci pensi lui a risollevare le sorti economiche del paese: che coi suoi bei soldini compri il latte, il pane e i vestiti alla gente e anche i grembiulini ai bambini delle elementari. Allora sì che lo faranno santo e salvatore della patria come desidera. Ma non lo sa, perchè questo desiderio non appare nei sondaggi.
Stanotte ho fatto un incubo. Ho sognato che eravamo diventati poveri; la casa era vuota perchè avevamo dovuto vendere tutti i mobili e non avevamo più soldi per mangiare. E dire che non avevo mai avuto paure di questo genere. Stiamo proprio andando a rotoli. Ma - dimenticavo - menomale che Silvio c'è.

sabato 22 novembre 2008

Gli uomini della mia vita


Avevo, credo, poco meno di quattro anni quando mi presi una cotta. Lui era affascinante, tenebroso, giusto e con un pizzico di cattiveria che non guastava.
Era Capitan Harlock, il mio primo amore. Ero totalmente infervorata; quando sentivo la sigla "fammi volare capitano" non capivo più niente.
Dopo, ne sono arrivati altri. C'è stato Riu il Ragazzo delle Caverne: telefonavo alla mia migliore amica i primi anni delle elementari e cantavamo la sigla insieme. Dopo esserci fatte venire la pelle d'oca e le lacrime agli occhi posavamo la cornetta.
Ma non si pensi che fossi una bambina teledipendente. Sono nata nel 1974 e allora si passavano i pomeriggi all'aperto, oppure si sceglievano ancora passatempi meno alienanti della tv. Guardare un cartone era per me un evento simile ad andare al cinema.

Lasciati i personaggi televisivi, sono passata a quelli in carne ed ossa, tutti cantanti. Ho amato teneramente Stefano Sani (ormai quasi nessuno ricorda chi è; io l'ho visto abbastanza di recente ed è quasi privo di capelli), Miguel Bosé, sono stata turbata da Luis Miguel (alle medie) e infine Jon Bon Jovi. Per lui ho avuto un episodio di canto notturno inconscio: cantavo, cioè, nel sonno.
I miei amori platonici avevano per la maggior parte un aspetto un po' selvaggio o malfamato, così le mie prime cotte per ragazzi umanamente abbordabili sono state in parte disastrosi: fortunatamente per me, non mi cagavano di una virgola. Erano drogati e camionisti. Alla fine, il vero filo conduttore di tutte le mie storie vere e non, però, è stata la musica. E' stata quella a farmi infatuare ed innamorare. Il mio attuale compagno, guarda caso, è un musicista. Ci siamo conosciuti dopo un suo concerto. Non ha una cicatrice in faccia e non vola su un'astronave, ma è decisamente molto più buono. Soprattutto vero.

mercoledì 19 novembre 2008

Il mio parto


Quest'anno mi sono decisa e, oltre ad occuparmi del laboratorio informatico della scuola in cui insegno, ho accettato di "costruire" la biblioteca. Ho riordinato i libri che c'erano dentro buttati alla rinfusa, li ho registrati su dei quaderni, ho assegnato dei codici, diviso i volumi in sezioni, fatto le etichette (ho chiesto di avere quelle autoadesive ma la scuola -udite udite - non ha i soldi) e le ho attaccate con colla e scotch.
Ora, all'alba della venticinquesima ora circa passata da topo di biblioteca, posso dire di aver quasi terminato. Mancano dei libri, i cartelloni alle pareti e le etichette negli scaffali, ma ce l'ho quasi fatta. Sono fiera di me. Quando il prestito potrà decollare, ho deciso che farò una festa e inviterò i bambini e le altre maestre.
A quel punto il mio lavoro sarà terminato ma, per quanto lungo e faticoso, ci ho provato un gran gusto.
Lo so, tornerò.
Controllerò che tutto funzioni.
Preparerò qualche nuovo cartellone.
Forse comprerò persino dei libri.

E poi ci chiamano fannulloni. Di ore me ne pagano venti.
Se c'è la passione - ma basta il senso di responsabilità - non c'è nessun fannullone.
Che senso di responsabilità sentirà Brunetta, e nei confronti di chi?

lunedì 17 novembre 2008

Inscatolati


Andare a lavorare in macchina (a gas, almeno nuoccio meno all'ambiente, visto che nuoccio di più al portafoglio)non mi permette più di leggere tanto come prima, ma perlomeno mi fa informare(grazie alla radio) e pensare di più.
Di solito produco i pensieri per il blog nel viaggio di andata, guardando il cielo e il mare ancora bui, evitando al contempo di andare a sbattere. Stamattina avevo le meningi intorpidite ed ho elaborato questa ovvietà metropolitana: siamo una generazione in scatola.
Mi spiego meglio con una domanda. Quanti di noi possono dire di fare un lavoro all'aria aperta? Per lavoro all'aria aperta non intendo vigile urbano, casellante, prostituta di città. Quella è aria intossicante.
Essendo il lavoro un'attività che, a parte i mantenuti (e non sto parlando delle casalinghe e casalinghi), occupa i due terzi della vita, non è un bell'affare.
Mi rendo conto che, ora più che mai, passo quotidianamente da una scatola all'altra: casa -macchina - scuola - casa - talvolta palestra. Gli spostamenti avvengono di rado a piedi e, se accade, non sono la prassi.
Il sabato o la domenica ci si riversa all'aperto; si va a fare una passeggiata al mare, a vedere un paesino medievale, in campagna. Ma dopo poco ci viene una specie di malattia: abbiamo bisogno del bar, del bagno, del supermercato per far la spesa. Senza accorgercene, siamo diventati dipendenti dalla vita in scatola.

Qualche settimana fa ho preso un treno speciale e sono andata a manifestare a Roma contro i decreti e la Gelmini. Era dagli Inter-rail dell'adolescenza che non passavo una notte in treno senza cambiarmi, lavarmi e dormire. In piazza eravamo pressati, ma che sensazione di libertà! Finalmente ero all'aperto, a gridare come un'ossessa la mia indignazione.
Avevo la frase pronta. Volevo dire delle cose importanti ai giornalisti, cose che tanti pensano ma nessuno dice. Invece non si è visto nessun giornalista.
Ho portato le mie frasi nella scatola-treno, diretta alla mia scatola-casa. Volevo che le mie parole finissero in tv.
Un'altra scatola, per l'appunto.

Danzando sotto la pioggia


Ho bisogno di leggerezza, con tutta questa pesantezza funesta degli ultimi giorni.
Per dare un tocco leggiadro, ripercorrerò con la memoria (e le dita) le piccole cose futili della mia recente vita quotidiana, ricordando a me stessa che non sono solo un'arpia astiosa con la logorrea, ma una persona che sa cogliere il lato ironico dell'esistenza.
Ecco le mie ultime performance:
- Ho cantato a squarciagola "Candy è poesia" sotto la doccia, convinta che colui che era in bagno con me fosse ancora lì. Invece ho dato uno spettacolo privato per il vicino che vive dall'altra parte del muro.
- Ho cercato per un mese in lungo e in largo un paio di stivali di gomma che potessero soddisfare il mio senso estetico. Volevo sguazzare nelle pozzanghere, come i bambini. Ora che li ho trovati, non piove più da giorni e nella mia città ci sono 20 gradi.
- Mi sono iscritta a un corso di yoga da un mese. Risultato? Litigo di meno ma ho il collo fracassato. Boh...

domenica 16 novembre 2008

i fannulloni


si nascondono soprattutto a sinistra. Per fortuna c'è qualcuno come Brunetta che ha dato preziose informazioni, un contributo sostanziale per scovarli.
I fannulloni sono dappertutto: la maggior parte sono iscritti alla cgil, ma molti si crogiolano nell'inedia anche dal punto di vista sindacale.
Come ha fatto il nostro ministro a capire che sono loro, che sono proprio di sinistra? Semplice, conosce il profilo del fannullone-tipo, ormai noto all'immaginario collettivo: persona di mezza età, flaccido, spalle curve, capelli non in ordine o poco puliti;
assiduo frequentatore di bar e circoli del pd o, peggio, di rifondazione, veste in modo trasandato e sbadiglia sovente nascondendo le parole crociate sotto la scrivania. Se donna, è un po' più attempata e nasconde sotto la collana di perle di fiume un reggiseno liso e dentro la borsetta bustine di zucchero rubate al caffé dove si rifugia in orario di lavoro. Entrambi, comunque, conoscono l'arte sottile della dissimulazione e della menzogna.
Bisogna stare attenti. Presto arriveranno le accuse. Presto i fannulloni verranno pubblicamente fustigati e accusati per essere stati il seme del fallimento della finanziaria o per aver ingurgitato i fondi per aiutare le banche in tracollo.
Presto porteranno una fascia al braccio. Rossa, ovviamente.
Intanto, state all'erta. Sono dappertutto.
Potrebbe essercene una persino dietro le righe di questo blog.

sabato 8 novembre 2008

blob, la voce della realtà televisiva

Da un po' torno a casa tardi la sera, sono stanca e la radio ascoltata in macchina nel traffico mi ha già tartassato abbastanza le orecchie di notizie.
Allora ho fatto una scelta: ho preso ad informarmi (televisivamente parlando) guardando un unico programma, Blob.
Blob è la voce della verità, del bambino che grida nella folla che il re è nudo. Molto poco politicamente corretto, è leggibile in più di un senso ma mette in vetrina, con qualche associazione che strizza l'occhio a chi vuole intendere, la realtà nuda e cruda che appare in televisione; attraverso un collage impertinente di immagini nuove e vecchie mostra le notizie del giorno e lo schifo che contorna il tutto. Una volta era seguito da cinico tv, ma adesso per schifarsi bastano gli stralci delle trasmissioni quotidiane.
Dio salvi Blob. W Blob.
Se non l'avessi già fatta, ci farei la tesi.

venerdì 7 novembre 2008

Italiani, santi o vittime?


Ci sono persone che hanno innata la capacità di perdonare. Decisamente hanno qualcosa in più della gente comune, spesso pronta a scagliarsi e tirare sassate, investire gli altri e insultare con quel bel modo di fare oggi estremamente tipico in tv: chi dà meglio addosso agli altri vince il primo premio. De Filippi, talk show e dibattiti politici docent.
Io, personalmente, non credo di saperlo fare davvero. Sento che quando arriva il perdono da parte mia è perchè il torto subìto non ha in realtà influito molto sulla mia psiche, dunque non lo reputo realmente dannoso. Forse la discriminante è proprio quella: finchè si riesce ad andare avanti senza che le azioni negative rivolte dagli altri verso di noi non ci disturbano realmente, siamo capaci di perdonare. A meno che, ovviamente, non ci venga la voglia di infierire con la negazione del perdono per un leggero sadismo, che così si trasforma in una delicata vendetta.
Bisognerebbe essere tutti ben centrati su di sè, come in una bolla esistenziale, impassibili ad eventuali scalfiture che la vita degli altri possa imprimervi. Allora il perdono sarebbe facilissimo; anzi, non esisterebbe nemmeno la parola, l'idea. Ma saremmo capaci di commuoverci, emozionarci, innamorarci in una condizione così ascetica? Riesco ad immaginare con fatica una vita fatta di felicità estatica ed a-emozionale.
Il santo, dunque, è davvero felice?

Tornando alla buona, vecchia via di mezzo che fa dell'umanità quello che è, credo che entri in gioco anche un'altra componente che riguarda la capacità di perdonare, anche se più a monte: Il Vittimismo, altra moda degli anni Duemila.
Non so chi l'abbia inventata, ma di sicuro il Premier italiano ha dato un bel contributo.
Grazie al vittimismo imperante, da tempo genitori-vittime pompano i loro figli, alunni-vittime e futuri adulti-vittime a lamentarsi di insegnanti-carnefici; fioriscono ogni giorno, anche grazie ai mass-media, categorie vittime di ladri o immigrati cattivi, evasori vittime del fisco crudele, politici vittime dei giornalisti e così via. La lamentazione è un'abitudine e, se combiniamo qualcosa di sbagliato, di sicuro è sempre colpa di qualcun altro.
Davanti a tutto questo proliferare di ingiustizie, ognuno ha la possibilità di sentirsi nei panni di Gesù in persona e può elargire perdoni e benedizioni o, se non gli va, infierire vendicandosi. Così fioccano denunce per gli insegnanti che danno voti sbagliati, cacce all'uomo per gli immigrati, gioiellieri o inquilini di villette che sparano a vista perchè qualcuno che conoscono è stato derubato, nuove leggi pro-evasori e pro-imputati di corruzione, censure o denigrazione per i giornalisti troppo invadenti.
Così va il mondo.
Io non sono Gesù e quotidianamente resisto alla tentazione di cadere nel vortice insidioso del vittimismo. Quando posso perdono, ma se il torto è grave faccio passare un po' di tempo e pianto i musi a lungo, anche se non sono vendicativa. So solo difendermi, ma non in modo preventivo.
Certo è che, le rare volte in cui mi capita d'imbattermi in qualcuno che rasenta la santità e mi perdona per ogni cosa, mi viene il nervoso. Perchè lui se ne sta con la mente tranquilla, mentre io, a quel punto, resto sola nel mio pentimento, rosicchiata dai sensi di colpa.

mercoledì 5 novembre 2008

lettera ad un presidente


Caro Presidente Obama,
da settimane non si parla che di Lei. E' diventato più popolare della Coca-cola, anche se spero che non faccia così tanti danni. Non che mi dispiaccia o tenda a sottovalutare la Sua importanza: in fondo gli Stati Uniti influenzano le politiche e gli equilibri del mondo intero, quindi la sua candidatura ed elezione non sono roba da poco. Solo che mi indigno un po' quando una notizia prende troppo spazio sulle altre: chissà quanta gente in Congo, in altri paesi afflitti dalla guerra e dalla povertà, sono stati ignorati dall'opinione pubblica per le presidenziali. Certo è che se qualche tg non avesse riempito il suo tempo rimasto con l'Isola dei Famosi, la velina di turno o la storia del canile in chiusura, forse sapremmo qualcosa di più dell'ostinazione della Gelmini(pur-troppo anch'essa di rilievo) e di chi è stato eletto negli USA.
Se avessi dovuto scegliere io, comunque, avrei scelto indubbiamente Lei. E' democratico, è di mentalità aperta, è nero, non è guerrafondaio, ed è pure simpatico. Tutto sommato sono contenta.
La mia mentalità poco fiduciosa nel genere umano, però, mi fa essere un po' sospettosa. E' più forte di me, in famiglia siamo sempre stati tutti con la sindrome di Cassandra, ipercritici e pessimisti. Un po' come quei gotici del tg3, per dirla come Dell'Utri.
Mi viene da pensare, insomma, Presidente. E il pensiero parte da un'ovvietà: però, com'è importante l'incarico di Presidente degli Stati Uniti d'America. Non so come imposterà la politica estera, ma fino a pochissimo fa questo ruolo era l'equivalente del Re del Mondo.
Come ha fatto uno così ad arrivare fin lassù? Quante mani avrà stretto, quanti sbarramenti e aut-aut avrà dovuto superare? Quanti compromessi, solo che per affrontare la candidatura? E, ammesso che fin lì sia andato tutto senza concessioni alla Sua integrità, quanti ne dovrà fare? Strana cosa, ad esempio, che tutti lo sostengano, da Veltroni a Bruce Springsteen, da Berlusconi a Madonna.
Difficile compito, il Suo. Mi auguro che sia tutto oro quello che luccica e che, se è così, lei tenga stretto il lume del suo senso morale fino alla fine. Sarebbe l'incontro tra il mondo quasi-ideale e il mondo reale.
Le faccio tanti auguri.
Cordialmente,
G.

martedì 4 novembre 2008

Segni


Non ce l'ho fatta. Dopo aver cancellato completamente, un po' per sbaglio e un po' per impulsività, il mio vecchio blog, a matita, mi è tornato il vizio. Troppi fatti di vita e di cronaca, ma soprattutto troppi pensieri e logorree mentali che non possono essere vomitati al primo malcapitato, ma nemmeno ritenuti nella testa, già piena di altro.
Così, dopo aver versato lacrime amare per aver cancellato
con un solo colpo di click i miei pensieri scritti, rieccomi in azione. Sarò più previdente, lo prometto. Meno legata alla proprietà, più conscia della precarietà del mezzo, della caducità delle parole telematiche. Meno frivola e più incisiva. Vomiterò i miei pensieri e poi me ne tornerò al mio vivere quotidiano, un po' alleggerita nell'animo e un po' rafforzata nelle mie idee.
Ma c'è un però. Non più matita. Non più espressioni dubbiose, incerte, artistiche: il mio tratto farà rumore e sarà netto, graffiante, fermo. Almeno tra le pareti di casa, il suo rumore risuonerà del suono invasivo delle parole urlate, arriverà di getto e improvvisamente. Niente più gomme, da oggi si scrive a penna.