lunedì 17 novembre 2008

Inscatolati


Andare a lavorare in macchina (a gas, almeno nuoccio meno all'ambiente, visto che nuoccio di più al portafoglio)non mi permette più di leggere tanto come prima, ma perlomeno mi fa informare(grazie alla radio) e pensare di più.
Di solito produco i pensieri per il blog nel viaggio di andata, guardando il cielo e il mare ancora bui, evitando al contempo di andare a sbattere. Stamattina avevo le meningi intorpidite ed ho elaborato questa ovvietà metropolitana: siamo una generazione in scatola.
Mi spiego meglio con una domanda. Quanti di noi possono dire di fare un lavoro all'aria aperta? Per lavoro all'aria aperta non intendo vigile urbano, casellante, prostituta di città. Quella è aria intossicante.
Essendo il lavoro un'attività che, a parte i mantenuti (e non sto parlando delle casalinghe e casalinghi), occupa i due terzi della vita, non è un bell'affare.
Mi rendo conto che, ora più che mai, passo quotidianamente da una scatola all'altra: casa -macchina - scuola - casa - talvolta palestra. Gli spostamenti avvengono di rado a piedi e, se accade, non sono la prassi.
Il sabato o la domenica ci si riversa all'aperto; si va a fare una passeggiata al mare, a vedere un paesino medievale, in campagna. Ma dopo poco ci viene una specie di malattia: abbiamo bisogno del bar, del bagno, del supermercato per far la spesa. Senza accorgercene, siamo diventati dipendenti dalla vita in scatola.

Qualche settimana fa ho preso un treno speciale e sono andata a manifestare a Roma contro i decreti e la Gelmini. Era dagli Inter-rail dell'adolescenza che non passavo una notte in treno senza cambiarmi, lavarmi e dormire. In piazza eravamo pressati, ma che sensazione di libertà! Finalmente ero all'aperto, a gridare come un'ossessa la mia indignazione.
Avevo la frase pronta. Volevo dire delle cose importanti ai giornalisti, cose che tanti pensano ma nessuno dice. Invece non si è visto nessun giornalista.
Ho portato le mie frasi nella scatola-treno, diretta alla mia scatola-casa. Volevo che le mie parole finissero in tv.
Un'altra scatola, per l'appunto.

2 commenti:

  1. Anonimo18.11.08

    Cara Giulia, cè chi definisce la nostra la società del packaging. Abbiamo messo dei bei contenitori a qualsiasi cosa, per poter vendere, vendere e ancora vendere. Il problema è che hai ragione, alla fine ci siamo inscatolati come tante sardine.
    Mettiamola così: abbiamo trovato un lato positivo per l'esistenza della Gel-minipimer...

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  2. Già, e in più i contenitori si ammucchiano nelle discariche.
    Persino le nostre case-scatole sono meno smaltibili delle case in pietra del passato.
    Finirà come previsto, moriremo schiacciati dai nostri stessi rifiuti o saremo costretti a vivere sulla luna.
    una Giulia catastrofica

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