venerdì 7 novembre 2008

Italiani, santi o vittime?


Ci sono persone che hanno innata la capacità di perdonare. Decisamente hanno qualcosa in più della gente comune, spesso pronta a scagliarsi e tirare sassate, investire gli altri e insultare con quel bel modo di fare oggi estremamente tipico in tv: chi dà meglio addosso agli altri vince il primo premio. De Filippi, talk show e dibattiti politici docent.
Io, personalmente, non credo di saperlo fare davvero. Sento che quando arriva il perdono da parte mia è perchè il torto subìto non ha in realtà influito molto sulla mia psiche, dunque non lo reputo realmente dannoso. Forse la discriminante è proprio quella: finchè si riesce ad andare avanti senza che le azioni negative rivolte dagli altri verso di noi non ci disturbano realmente, siamo capaci di perdonare. A meno che, ovviamente, non ci venga la voglia di infierire con la negazione del perdono per un leggero sadismo, che così si trasforma in una delicata vendetta.
Bisognerebbe essere tutti ben centrati su di sè, come in una bolla esistenziale, impassibili ad eventuali scalfiture che la vita degli altri possa imprimervi. Allora il perdono sarebbe facilissimo; anzi, non esisterebbe nemmeno la parola, l'idea. Ma saremmo capaci di commuoverci, emozionarci, innamorarci in una condizione così ascetica? Riesco ad immaginare con fatica una vita fatta di felicità estatica ed a-emozionale.
Il santo, dunque, è davvero felice?

Tornando alla buona, vecchia via di mezzo che fa dell'umanità quello che è, credo che entri in gioco anche un'altra componente che riguarda la capacità di perdonare, anche se più a monte: Il Vittimismo, altra moda degli anni Duemila.
Non so chi l'abbia inventata, ma di sicuro il Premier italiano ha dato un bel contributo.
Grazie al vittimismo imperante, da tempo genitori-vittime pompano i loro figli, alunni-vittime e futuri adulti-vittime a lamentarsi di insegnanti-carnefici; fioriscono ogni giorno, anche grazie ai mass-media, categorie vittime di ladri o immigrati cattivi, evasori vittime del fisco crudele, politici vittime dei giornalisti e così via. La lamentazione è un'abitudine e, se combiniamo qualcosa di sbagliato, di sicuro è sempre colpa di qualcun altro.
Davanti a tutto questo proliferare di ingiustizie, ognuno ha la possibilità di sentirsi nei panni di Gesù in persona e può elargire perdoni e benedizioni o, se non gli va, infierire vendicandosi. Così fioccano denunce per gli insegnanti che danno voti sbagliati, cacce all'uomo per gli immigrati, gioiellieri o inquilini di villette che sparano a vista perchè qualcuno che conoscono è stato derubato, nuove leggi pro-evasori e pro-imputati di corruzione, censure o denigrazione per i giornalisti troppo invadenti.
Così va il mondo.
Io non sono Gesù e quotidianamente resisto alla tentazione di cadere nel vortice insidioso del vittimismo. Quando posso perdono, ma se il torto è grave faccio passare un po' di tempo e pianto i musi a lungo, anche se non sono vendicativa. So solo difendermi, ma non in modo preventivo.
Certo è che, le rare volte in cui mi capita d'imbattermi in qualcuno che rasenta la santità e mi perdona per ogni cosa, mi viene il nervoso. Perchè lui se ne sta con la mente tranquilla, mentre io, a quel punto, resto sola nel mio pentimento, rosicchiata dai sensi di colpa.

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