venerdì 5 dicembre 2008

Un buon maestro


Gli orrori di costume, ideologici e comportamentali di cui si sente notizia spesso e volentieri mi fanno ripiegare su pensieri legati alla mia professione. L'idea della donna data dai media, la strategia del terrore, i pregiudizi religiosi, le modalità di comunicazione basate sull'aggressione e sulla violenza, i dissidi politici sono solo pochi degli esempi che abbiamo quotidianamente davanti agli occhi.
Sono convinta che molto, se non tutto, possa essere evitato da un'educazione preventiva, ovviamente da entrambi i fronti: casa e scuola. Io, che mi occupo di educazione solo scolastica, e in particolare in quel grado di scuola in cui il pensiero e la personalità sono ancora in formazione, sto sempre a rimuginare su ogni mossa che faccio.

Mi spiego. Ho sempre pensato che l'insegnante non debba esprimere le sue opinioni personali, che non debba parlar troppo di sè nè, tantomeno, si debba mettere a modello del genere umano davanti ai suoi allievi. Saranno l'esempio e le sue azioni che daranno modo di decidere a ogni alunno se quella che lo ha accompagnato per cinque anni (se non è precario, ahimè) della sua vita è stata o meno un buon maestro.
Quando sono grandi, verso i 9 o 10 anni, capita di parlare di politica, di religione, di fatti di cronaca o idee sui massimi sistemi. Allora le domande fioccano. Anche i ragazzini poco motivati tirano fuori un interesse o delle curiosità. Tutti, poi, pendono dalle tue labbra se qualcuno ti fa una domanda che inizia col fatidico "secondo te".
Io ho sempre cercato di non comunicare le mie opinioni, ma di spiegare i fatti, dando il più possibile gli strumenti per farsi un'idea personale. Molti le hanno già, ma generalmente sono le cose che sentono dire in casa dai genitori, che magari commentano il telegiornale senza coinvolgere i figli.
L'oggettività, dunque. Questo deve dare l'insegnante. Le informazioni e gli strumenti per cercarsele da sé e, possibilmente, decodificarle.
Solo che temo che questo sia pressochè impossibile: le parole che usiamo, il nostro modo di vestirci e comportarci, le nostre scelte: molto di noi dice come la pensiamo. In fondo non è una cosa cattiva, l'importante è che non si tenti di fare proseliti. Non si tratta di nascondere, ma di lasciare che le scelte non siano frutto di condizionamento. Di esempio sì, e questo è inevitabile. Per questo un buon maestro ha il dovere morale di dire la sua quando si tratta di valori. Quando si tratta di parlare di diritti, di integrazione, di rispetto, di ricchezze date dalle differenze e di uguaglianza degli individui in quanto appartenenti al genere umano allora sì, il maestro deve parlare. Quelle sono le fondamenta senza le quali le idee crollano miseramente di fronte alla realtà dell'esistenza.

Per quanto mi riguarda, ogni giorno ci provo, ma so di fare continuamente errori. so che basta trattare un alunno con sarcasmo perchè è difficile da gestire o perchè si è in una giornata storta per ad aprire la porta alla sua scarsa autostima o alle prese in giro dei suoi compagni.
Giorno dopo giorno, però, ci provo.

Intanto, ho fatto pace con la parola "maestra": è meno adulta, nobile e dotta di "professoressa", ma mi ricorda un po' il maestro Yoda, il buffo saggio verde di Guerre Stellari.

5 commenti:

  1. Anonimo6.12.08

    Io ho un ricordo indelebile del mio formidabile maestro delle elementari, nei primi anni Sessanta: Giovanni Psenner, che mi insegnò tantissime cose, contribuì enormemente a farmi crescere e mi diede fiducia.
    "Maestro/a" è una parola bellissima.
    http://lucianoidefix.typepad.com

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  2. Mi piace il tono generale del tuo blog.
    Davvero.

    Maestro è una parola molto migliore di professore: d'accordo con te.
    Parlando di maestri, mi viene in mente un libro di Meneghello, tra l'altro. E non è male.

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  3. Grazie, anche il tuo blog mi piace molto. però con tutti questi libri che non ho letto mi fai sentire un po' ignorante :-)(vedi il post sul divano)
    Cosa dice (di bello, non potevo non dirlo)il libro di Meneghello?

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  4. Anonimo16.12.08

    Racconta dell'esperienza di lotta partigiana vissuta da Meneghello tra l'altopiano di Asiago e i colli Berici, sotto il comando del suo maestro, Antonio Giuriolo (il Toni).
    Con IL PARTIGIANO JOHNNY e UNA QUESTIONE PRIVATA, forse il più bel libro che sia mai stato scritto sulla guerra di liberazione in questo paese.

    tic

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  5. Mi hai convinto. Lo leggo.

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