domenica 10 maggio 2009

Intorno a un tavolo


Domenica sera, finalmente un po' di tempo e ispirazione per scrivere.
Il pretesto è la preparazione di una teglia di verdure al forno: c'è da pulirle, tagliarle, condirle e buttarle maldestramente tutte insieme nella pentola. Non c'è occasione migliore per stare insieme al nostro tavolo, io e M., uno di fronte all'altra, come al solito.

Il nostro tavolo l'abbiamo comprato poco più di tre anni fa
in un robivecchi. Era sfasciato, grigio da quant'era sporco e aveva una gamba spezzata. Ce ne siamo innamorati (si fa per dire)e l'abbiamo fatto risistemare. Da allora ha conosciuto parecchie cene, pause tè e caffè, qualche pranzo in due, ha assistito a liti e riappacificazioni, ha sentito i nostri discorsi sulle faccende della giornata appena finita e i nostri brontolii sulle notizie del telegiornale. Non è ancora del tutto stabile, ma spero che resiterà alle intemperie della nostra storia.

Il nostro tavolo, però, è solo l'ultimo di una lunga serie. Ne ricordo di cristallo, di legno scuro o laccato, rotondi o rettangolari. Ricordo il tavolo su cui mio nonno impastava e preparava da mangiare: io lo guardavo per ore, e grazie a quell'attento e ipnotizzato osservare sono riuscita a ripetere i suoi gesti uno ad uno, una volta che mi sono messa a cucinare per conto mio. Aveva un tavolo di fòrmica su cui tamburellava con le sue dita lunghe e affusolate. Dita da artista mancato.

Intorno al tavolo della casa in campagna in cui andavo da bambina stavo spesso seduta con una seggiolina di vimini, aspettando che mia nonna mi allungasse gli acini d'uva accuratamente aperti in due e senza semi. Ancora oggi, a 34 anni suonati, conosco solo questo modo per mangiare l'uva. E' forse uno dei pochi gesti gentili che ricordo di lei.
Sul tavolo della cucina della casa in campagna mio nonno c'è morto. Stavamo mangiando e ci si è accasciato mentre ridevamo.

Per anni, dopo cena, mi sono rifugiata sotto il tavolo di casa dei miei, quello laccato di bianco che hanno ancora oggi, a farmi passare pezzetti di mela e formaggio da mio padre. Era il gioco del topo: cibo in cambio di morsetti alle ginocchia.
Il tavolo bianco ne ha viste tante, come ogni tavolo di famiglia che si rispetti. Ci ho corso intorno giocando, ci ho girato camminando per ripetere le lezioni o sperando che mi passasse il mal di pancia, ci ho sentito i miei litigare, ci ho trovato mio padre addormentato, ci ho fatto lunghe chiacchierate serali.
Su di esso ho persino conosciuto, a quattro mesi, la mia migliore amica, che accompagna tutt'oggi i percorsi della mia vita con linee differenti ma parallele.

Siamo noi a dare un significato sentimentale agli oggetti, lo so: di per sè non ne hanno nè recepiscono azioni o sentimenti. Ma non so cosa darei per ritrovarmi insieme alle persone care intorno ad ognuno dei tavoli della mia vita, rievocando tutto quello che hanno visto e passato, sgranando piselli e pulendo verdure, intenti a preparare il minestrone.

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