domenica 23 novembre 2008

Le paure del cavaliere


Per chi non ha dato un voto a questo governo sono tempi duri. L'unica consolazione è osservarne l'andamento individuando le zone in cui il cavallo del cavaliere incespica o retrocede impaurito. Beh, ogni tanto succede. Si continuano a sentire affermazioni di Berlusconi che tenta di rimediare con le sue spiritosissime battute alla gaffe sull'abbronzatura di Obama. Dietro la sua spavalderia c'è una malcelata paura di averla detta grossa; avrà letto articoli di disapprovazione sui giornali di tutta Europa - e non solo - e tenta di mettere delle toppe, senza accorgersi che si dà delle mazzate sui piedi da solo, visto che il meglio sarebbe far scendere il tutto nel dimenticatoio.
Poi, leggo sul giornale di oggi che Silvio continua a sostenere che, se gli italiani non consumeranno di più, la crisi non si risolleverà. Bella mossa, scaricabarile. Così si lava le mani se le cose non andranno meglio. Altro segno che il signore comincia a vederla nera, e che non manterrà le promesse di risollevare l'economia entro il secondo semestre del prossimo anno. Dunque ha paura. Oltretutto la sua è una dichiarazione anacronistica, in un periodo in cui la coscienza ecologica si sta svegliando e crescono i tentativi di riduzione dei consumi, di autoproduzione e via dicendo. Con le famiglie già sul lastrico e quelle che ci finiranno presto per i tagli previsti, che ci pensi lui a risollevare le sorti economiche del paese: che coi suoi bei soldini compri il latte, il pane e i vestiti alla gente e anche i grembiulini ai bambini delle elementari. Allora sì che lo faranno santo e salvatore della patria come desidera. Ma non lo sa, perchè questo desiderio non appare nei sondaggi.
Stanotte ho fatto un incubo. Ho sognato che eravamo diventati poveri; la casa era vuota perchè avevamo dovuto vendere tutti i mobili e non avevamo più soldi per mangiare. E dire che non avevo mai avuto paure di questo genere. Stiamo proprio andando a rotoli. Ma - dimenticavo - menomale che Silvio c'è.

sabato 22 novembre 2008

Gli uomini della mia vita


Avevo, credo, poco meno di quattro anni quando mi presi una cotta. Lui era affascinante, tenebroso, giusto e con un pizzico di cattiveria che non guastava.
Era Capitan Harlock, il mio primo amore. Ero totalmente infervorata; quando sentivo la sigla "fammi volare capitano" non capivo più niente.
Dopo, ne sono arrivati altri. C'è stato Riu il Ragazzo delle Caverne: telefonavo alla mia migliore amica i primi anni delle elementari e cantavamo la sigla insieme. Dopo esserci fatte venire la pelle d'oca e le lacrime agli occhi posavamo la cornetta.
Ma non si pensi che fossi una bambina teledipendente. Sono nata nel 1974 e allora si passavano i pomeriggi all'aperto, oppure si sceglievano ancora passatempi meno alienanti della tv. Guardare un cartone era per me un evento simile ad andare al cinema.

Lasciati i personaggi televisivi, sono passata a quelli in carne ed ossa, tutti cantanti. Ho amato teneramente Stefano Sani (ormai quasi nessuno ricorda chi è; io l'ho visto abbastanza di recente ed è quasi privo di capelli), Miguel Bosé, sono stata turbata da Luis Miguel (alle medie) e infine Jon Bon Jovi. Per lui ho avuto un episodio di canto notturno inconscio: cantavo, cioè, nel sonno.
I miei amori platonici avevano per la maggior parte un aspetto un po' selvaggio o malfamato, così le mie prime cotte per ragazzi umanamente abbordabili sono state in parte disastrosi: fortunatamente per me, non mi cagavano di una virgola. Erano drogati e camionisti. Alla fine, il vero filo conduttore di tutte le mie storie vere e non, però, è stata la musica. E' stata quella a farmi infatuare ed innamorare. Il mio attuale compagno, guarda caso, è un musicista. Ci siamo conosciuti dopo un suo concerto. Non ha una cicatrice in faccia e non vola su un'astronave, ma è decisamente molto più buono. Soprattutto vero.

mercoledì 19 novembre 2008

Il mio parto


Quest'anno mi sono decisa e, oltre ad occuparmi del laboratorio informatico della scuola in cui insegno, ho accettato di "costruire" la biblioteca. Ho riordinato i libri che c'erano dentro buttati alla rinfusa, li ho registrati su dei quaderni, ho assegnato dei codici, diviso i volumi in sezioni, fatto le etichette (ho chiesto di avere quelle autoadesive ma la scuola -udite udite - non ha i soldi) e le ho attaccate con colla e scotch.
Ora, all'alba della venticinquesima ora circa passata da topo di biblioteca, posso dire di aver quasi terminato. Mancano dei libri, i cartelloni alle pareti e le etichette negli scaffali, ma ce l'ho quasi fatta. Sono fiera di me. Quando il prestito potrà decollare, ho deciso che farò una festa e inviterò i bambini e le altre maestre.
A quel punto il mio lavoro sarà terminato ma, per quanto lungo e faticoso, ci ho provato un gran gusto.
Lo so, tornerò.
Controllerò che tutto funzioni.
Preparerò qualche nuovo cartellone.
Forse comprerò persino dei libri.

E poi ci chiamano fannulloni. Di ore me ne pagano venti.
Se c'è la passione - ma basta il senso di responsabilità - non c'è nessun fannullone.
Che senso di responsabilità sentirà Brunetta, e nei confronti di chi?

lunedì 17 novembre 2008

Inscatolati


Andare a lavorare in macchina (a gas, almeno nuoccio meno all'ambiente, visto che nuoccio di più al portafoglio)non mi permette più di leggere tanto come prima, ma perlomeno mi fa informare(grazie alla radio) e pensare di più.
Di solito produco i pensieri per il blog nel viaggio di andata, guardando il cielo e il mare ancora bui, evitando al contempo di andare a sbattere. Stamattina avevo le meningi intorpidite ed ho elaborato questa ovvietà metropolitana: siamo una generazione in scatola.
Mi spiego meglio con una domanda. Quanti di noi possono dire di fare un lavoro all'aria aperta? Per lavoro all'aria aperta non intendo vigile urbano, casellante, prostituta di città. Quella è aria intossicante.
Essendo il lavoro un'attività che, a parte i mantenuti (e non sto parlando delle casalinghe e casalinghi), occupa i due terzi della vita, non è un bell'affare.
Mi rendo conto che, ora più che mai, passo quotidianamente da una scatola all'altra: casa -macchina - scuola - casa - talvolta palestra. Gli spostamenti avvengono di rado a piedi e, se accade, non sono la prassi.
Il sabato o la domenica ci si riversa all'aperto; si va a fare una passeggiata al mare, a vedere un paesino medievale, in campagna. Ma dopo poco ci viene una specie di malattia: abbiamo bisogno del bar, del bagno, del supermercato per far la spesa. Senza accorgercene, siamo diventati dipendenti dalla vita in scatola.

Qualche settimana fa ho preso un treno speciale e sono andata a manifestare a Roma contro i decreti e la Gelmini. Era dagli Inter-rail dell'adolescenza che non passavo una notte in treno senza cambiarmi, lavarmi e dormire. In piazza eravamo pressati, ma che sensazione di libertà! Finalmente ero all'aperto, a gridare come un'ossessa la mia indignazione.
Avevo la frase pronta. Volevo dire delle cose importanti ai giornalisti, cose che tanti pensano ma nessuno dice. Invece non si è visto nessun giornalista.
Ho portato le mie frasi nella scatola-treno, diretta alla mia scatola-casa. Volevo che le mie parole finissero in tv.
Un'altra scatola, per l'appunto.

Danzando sotto la pioggia


Ho bisogno di leggerezza, con tutta questa pesantezza funesta degli ultimi giorni.
Per dare un tocco leggiadro, ripercorrerò con la memoria (e le dita) le piccole cose futili della mia recente vita quotidiana, ricordando a me stessa che non sono solo un'arpia astiosa con la logorrea, ma una persona che sa cogliere il lato ironico dell'esistenza.
Ecco le mie ultime performance:
- Ho cantato a squarciagola "Candy è poesia" sotto la doccia, convinta che colui che era in bagno con me fosse ancora lì. Invece ho dato uno spettacolo privato per il vicino che vive dall'altra parte del muro.
- Ho cercato per un mese in lungo e in largo un paio di stivali di gomma che potessero soddisfare il mio senso estetico. Volevo sguazzare nelle pozzanghere, come i bambini. Ora che li ho trovati, non piove più da giorni e nella mia città ci sono 20 gradi.
- Mi sono iscritta a un corso di yoga da un mese. Risultato? Litigo di meno ma ho il collo fracassato. Boh...

domenica 16 novembre 2008

i fannulloni


si nascondono soprattutto a sinistra. Per fortuna c'è qualcuno come Brunetta che ha dato preziose informazioni, un contributo sostanziale per scovarli.
I fannulloni sono dappertutto: la maggior parte sono iscritti alla cgil, ma molti si crogiolano nell'inedia anche dal punto di vista sindacale.
Come ha fatto il nostro ministro a capire che sono loro, che sono proprio di sinistra? Semplice, conosce il profilo del fannullone-tipo, ormai noto all'immaginario collettivo: persona di mezza età, flaccido, spalle curve, capelli non in ordine o poco puliti;
assiduo frequentatore di bar e circoli del pd o, peggio, di rifondazione, veste in modo trasandato e sbadiglia sovente nascondendo le parole crociate sotto la scrivania. Se donna, è un po' più attempata e nasconde sotto la collana di perle di fiume un reggiseno liso e dentro la borsetta bustine di zucchero rubate al caffé dove si rifugia in orario di lavoro. Entrambi, comunque, conoscono l'arte sottile della dissimulazione e della menzogna.
Bisogna stare attenti. Presto arriveranno le accuse. Presto i fannulloni verranno pubblicamente fustigati e accusati per essere stati il seme del fallimento della finanziaria o per aver ingurgitato i fondi per aiutare le banche in tracollo.
Presto porteranno una fascia al braccio. Rossa, ovviamente.
Intanto, state all'erta. Sono dappertutto.
Potrebbe essercene una persino dietro le righe di questo blog.

sabato 8 novembre 2008

blob, la voce della realtà televisiva

Da un po' torno a casa tardi la sera, sono stanca e la radio ascoltata in macchina nel traffico mi ha già tartassato abbastanza le orecchie di notizie.
Allora ho fatto una scelta: ho preso ad informarmi (televisivamente parlando) guardando un unico programma, Blob.
Blob è la voce della verità, del bambino che grida nella folla che il re è nudo. Molto poco politicamente corretto, è leggibile in più di un senso ma mette in vetrina, con qualche associazione che strizza l'occhio a chi vuole intendere, la realtà nuda e cruda che appare in televisione; attraverso un collage impertinente di immagini nuove e vecchie mostra le notizie del giorno e lo schifo che contorna il tutto. Una volta era seguito da cinico tv, ma adesso per schifarsi bastano gli stralci delle trasmissioni quotidiane.
Dio salvi Blob. W Blob.
Se non l'avessi già fatta, ci farei la tesi.

venerdì 7 novembre 2008

Italiani, santi o vittime?


Ci sono persone che hanno innata la capacità di perdonare. Decisamente hanno qualcosa in più della gente comune, spesso pronta a scagliarsi e tirare sassate, investire gli altri e insultare con quel bel modo di fare oggi estremamente tipico in tv: chi dà meglio addosso agli altri vince il primo premio. De Filippi, talk show e dibattiti politici docent.
Io, personalmente, non credo di saperlo fare davvero. Sento che quando arriva il perdono da parte mia è perchè il torto subìto non ha in realtà influito molto sulla mia psiche, dunque non lo reputo realmente dannoso. Forse la discriminante è proprio quella: finchè si riesce ad andare avanti senza che le azioni negative rivolte dagli altri verso di noi non ci disturbano realmente, siamo capaci di perdonare. A meno che, ovviamente, non ci venga la voglia di infierire con la negazione del perdono per un leggero sadismo, che così si trasforma in una delicata vendetta.
Bisognerebbe essere tutti ben centrati su di sè, come in una bolla esistenziale, impassibili ad eventuali scalfiture che la vita degli altri possa imprimervi. Allora il perdono sarebbe facilissimo; anzi, non esisterebbe nemmeno la parola, l'idea. Ma saremmo capaci di commuoverci, emozionarci, innamorarci in una condizione così ascetica? Riesco ad immaginare con fatica una vita fatta di felicità estatica ed a-emozionale.
Il santo, dunque, è davvero felice?

Tornando alla buona, vecchia via di mezzo che fa dell'umanità quello che è, credo che entri in gioco anche un'altra componente che riguarda la capacità di perdonare, anche se più a monte: Il Vittimismo, altra moda degli anni Duemila.
Non so chi l'abbia inventata, ma di sicuro il Premier italiano ha dato un bel contributo.
Grazie al vittimismo imperante, da tempo genitori-vittime pompano i loro figli, alunni-vittime e futuri adulti-vittime a lamentarsi di insegnanti-carnefici; fioriscono ogni giorno, anche grazie ai mass-media, categorie vittime di ladri o immigrati cattivi, evasori vittime del fisco crudele, politici vittime dei giornalisti e così via. La lamentazione è un'abitudine e, se combiniamo qualcosa di sbagliato, di sicuro è sempre colpa di qualcun altro.
Davanti a tutto questo proliferare di ingiustizie, ognuno ha la possibilità di sentirsi nei panni di Gesù in persona e può elargire perdoni e benedizioni o, se non gli va, infierire vendicandosi. Così fioccano denunce per gli insegnanti che danno voti sbagliati, cacce all'uomo per gli immigrati, gioiellieri o inquilini di villette che sparano a vista perchè qualcuno che conoscono è stato derubato, nuove leggi pro-evasori e pro-imputati di corruzione, censure o denigrazione per i giornalisti troppo invadenti.
Così va il mondo.
Io non sono Gesù e quotidianamente resisto alla tentazione di cadere nel vortice insidioso del vittimismo. Quando posso perdono, ma se il torto è grave faccio passare un po' di tempo e pianto i musi a lungo, anche se non sono vendicativa. So solo difendermi, ma non in modo preventivo.
Certo è che, le rare volte in cui mi capita d'imbattermi in qualcuno che rasenta la santità e mi perdona per ogni cosa, mi viene il nervoso. Perchè lui se ne sta con la mente tranquilla, mentre io, a quel punto, resto sola nel mio pentimento, rosicchiata dai sensi di colpa.

mercoledì 5 novembre 2008

lettera ad un presidente


Caro Presidente Obama,
da settimane non si parla che di Lei. E' diventato più popolare della Coca-cola, anche se spero che non faccia così tanti danni. Non che mi dispiaccia o tenda a sottovalutare la Sua importanza: in fondo gli Stati Uniti influenzano le politiche e gli equilibri del mondo intero, quindi la sua candidatura ed elezione non sono roba da poco. Solo che mi indigno un po' quando una notizia prende troppo spazio sulle altre: chissà quanta gente in Congo, in altri paesi afflitti dalla guerra e dalla povertà, sono stati ignorati dall'opinione pubblica per le presidenziali. Certo è che se qualche tg non avesse riempito il suo tempo rimasto con l'Isola dei Famosi, la velina di turno o la storia del canile in chiusura, forse sapremmo qualcosa di più dell'ostinazione della Gelmini(pur-troppo anch'essa di rilievo) e di chi è stato eletto negli USA.
Se avessi dovuto scegliere io, comunque, avrei scelto indubbiamente Lei. E' democratico, è di mentalità aperta, è nero, non è guerrafondaio, ed è pure simpatico. Tutto sommato sono contenta.
La mia mentalità poco fiduciosa nel genere umano, però, mi fa essere un po' sospettosa. E' più forte di me, in famiglia siamo sempre stati tutti con la sindrome di Cassandra, ipercritici e pessimisti. Un po' come quei gotici del tg3, per dirla come Dell'Utri.
Mi viene da pensare, insomma, Presidente. E il pensiero parte da un'ovvietà: però, com'è importante l'incarico di Presidente degli Stati Uniti d'America. Non so come imposterà la politica estera, ma fino a pochissimo fa questo ruolo era l'equivalente del Re del Mondo.
Come ha fatto uno così ad arrivare fin lassù? Quante mani avrà stretto, quanti sbarramenti e aut-aut avrà dovuto superare? Quanti compromessi, solo che per affrontare la candidatura? E, ammesso che fin lì sia andato tutto senza concessioni alla Sua integrità, quanti ne dovrà fare? Strana cosa, ad esempio, che tutti lo sostengano, da Veltroni a Bruce Springsteen, da Berlusconi a Madonna.
Difficile compito, il Suo. Mi auguro che sia tutto oro quello che luccica e che, se è così, lei tenga stretto il lume del suo senso morale fino alla fine. Sarebbe l'incontro tra il mondo quasi-ideale e il mondo reale.
Le faccio tanti auguri.
Cordialmente,
G.

martedì 4 novembre 2008

Segni


Non ce l'ho fatta. Dopo aver cancellato completamente, un po' per sbaglio e un po' per impulsività, il mio vecchio blog, a matita, mi è tornato il vizio. Troppi fatti di vita e di cronaca, ma soprattutto troppi pensieri e logorree mentali che non possono essere vomitati al primo malcapitato, ma nemmeno ritenuti nella testa, già piena di altro.
Così, dopo aver versato lacrime amare per aver cancellato
con un solo colpo di click i miei pensieri scritti, rieccomi in azione. Sarò più previdente, lo prometto. Meno legata alla proprietà, più conscia della precarietà del mezzo, della caducità delle parole telematiche. Meno frivola e più incisiva. Vomiterò i miei pensieri e poi me ne tornerò al mio vivere quotidiano, un po' alleggerita nell'animo e un po' rafforzata nelle mie idee.
Ma c'è un però. Non più matita. Non più espressioni dubbiose, incerte, artistiche: il mio tratto farà rumore e sarà netto, graffiante, fermo. Almeno tra le pareti di casa, il suo rumore risuonerà del suono invasivo delle parole urlate, arriverà di getto e improvvisamente. Niente più gomme, da oggi si scrive a penna.